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Come pulire il box doccia dal calcare

I moderni box doccia sono accattivanti, vantano un design davvero pregevole ed offrono un livello di comfort certamente superiore ai modelli disponibili sul mercato qualche anno fa.

Certamente il calcare rappresenta però un elemento in grado di “intaccare” la bellezza del piatto doccia e del box direttamente, soprattutto quando le pareti in vetro sono completamente trasparenti.

Prima di accennare ad alcuni metodi particolarmente efficaci per la rimozione del calcare, bisogna ricordare che il trattamento anticalcare TPA che possono vantare alcuni box doccia consente di mantenere i vetri puliti senza fare fatica.

Questa è un’ottima opzione se desideri evitare che avvenga nel tempo quel fastidioso accumulo di calcare nei vetri della tua doccia, preservando così il prodotto nel corso del tempo.

Eliminare il calcare dal box doccia: i metodi

Ad ogni modo, ecco di seguito alcuni tra i metodi più efficaci per eliminare il calcare dal tuo box doccia.

Evita i metodi chimici

I metodi chimici potrebbero certamente essere più efficaci di quelli tradizionali, ma a lungo andare potrebbero rovinare il tuo box doccia.

Allo stesso tempo, l’impiego di prodotti chimici potrebbe avere un influsso negativo anche sulla tua salute, dato che sono aggressivi, nonché pericolosi per l’ambiente dato che viaggeranno all’interno dello scarico per raggiungere poi fiumi o mari.

Meglio allora ricorrere ad altri metodi ed evitare così di andare incontro a questo tipo di problematiche.

Prova con gli ingredienti naturali

Puoi rimuovere il calcare dal tuo box doccia sfruttando degli ingredienti naturali che tutti abbiamo in casa: limone, bicarbonato e aceto.

Puoi diluire l’aceto bianco con dell’acqua per pulire le pareti del tuo box doccia: vedrai che le sue caratteristiche sono perfette per aiutarti ad avere pareti della doccia perfettamente pulite, senza aloni e soprattutto senza alcun residuo di calcare.

Anche il bicarbonato ha delle ottime proprietà anticalcare, oltre ad essere efficace nell’eliminazione di muffe tipiche dei luoghi più umidi come il bagno.

In particolar modo, puoi sfruttare le caratteristiche del bicarbonato proprio per pulire il piatto doccia: vedrai che il risultato finale sarà una superficie perfettamente lucida e sanificata.

Ed il limone? Usalo per un pretrattamento efficace. Strofinalo sulle parti da ripulire e lascialo agire qualche minuto prima di cominciare con le operazioni di pulizia vere e proprie, vedrai che il risultato finale sarà stupefacente.

Ricorda di adoperare una spugna non troppo abrasiva per le operazioni di rimozione dello sporco, e sciacqua subito dopo con abbondante acqua corrente.

Esiste un metodo naturale anche per pulire le guarnizioni della doccia?

Sicuramente è possibile pulire adeguatamente anche le guarnizioni della doccia con dei metodi naturali.

In particolar modo, puoi adoperare la stessa mistura di cui sopra aggiungendo però un cucchiaio di alcool denaturato.

L’alcool ha infatti capacità sgrassante, oltre che sanificatrice, e rimuoverà dalle guarnizioni della tua doccia ogni residuo di calcare, nonché muffa ed altro tipo di sporco.

Anche in questo caso ricorda di sciacquare adeguatamente al termine delle operazioni di pulizia, così da rimuovere ogni eventuale residuo o impurità.

In che modo è possibile prevenire la formazione del calcare?

Per quel che riguarda il tuo box doccia, l’idea di prevenire a monte la formazione del calcare può essere un’ottima idea. Tipicamente infatti, le operazioni di prevenzione della formazione del calcare in un box doccia sono meno “faticose” rispetto quelle di rimozione.

Per prevenire la formazione del calcare dunque, dopo aver adoperato la doccia possiamo spruzzare (mediante un apposito flaconcino con nebulizzatore) una miscela di acqua e aceto direttamente sul piatto doccia e sulle pareti di vetro dopo l’utilizzo.

Subito dopo puoi asciugare con un panno o adoperare un piccolo tergidoccia.

Sharing Mobility: nel 2021 continua a crescere

Malgrado le limitazioni dovute alle misure di contenimento, la Sharing Mobility mostra segnali di ripresa, e nelle città italiane continua a crescere come nel periodo pre pandemia.
Secondo i dati del 6° rapporto dell’Osservatorio Nazionale Sharing Mobility, il fatturato complessivo del settore nel 2021 è in crescita del 52% rispetto al 2020, raggiungendo 130 milioni di euro. Sempre nel 2021, si raggiungono 35 milioni di noleggi (+61% vs 2020 e +25% vs 2019) e 133,4 milioni di chilometri percorsi (+44% vs 2020 e +0,3% vs 2019). Inoltre, aumentano le corse, ma per tratti più brevi, quasi a testimoniare la capillarità del servizio.

Monopattini, bikesharing, scooter, carsharing

Il monopattino sembra essere il mezzo più utilizzato: con 17,8 milioni di viaggi copre più del 50% del totale dei noleggi in Sharing Mobility, e crescendo del 143% raddoppia la performance del 2020. Il bikesharing cresce del 42% rispetto al 2020, ma rispetto al 2019 presenta un calo: -37% free floating e -36% station based. Crescono, invece, gli scooter (+5%), mentre il carsharing appare ancora in difficoltà, sia free floating (-8,6% vs 2020 e -52% vs 2019) sia station based (+22% vs 2020 -19% vs 2019). L’aumento della durata e la minor contrazione dei chilometri percorsi potrebbero indicare una tipologia di utenti diversi rispetto al passato. E non è un caso che vengano scelte auto a quattro porte e con la possibilità di assolvere a più funzioni.

La flotta di mezzi

Al 31 dicembre si contano 190 servizi attivi in Italia, 32 in più rispetto al 2020 e 90 in più rispetto al 2019. La flotta di mezzi condivisi raggiunge la quota di 89mila veicoli (+5% vs 2020): 31% bici, 51% monopattini, 10% scooter e 7% auto. Il 94,5% dei veicoli in condivisione è a zero emissioni, o veicoli completamente elettrici o senza motore. Nel carsharing la quota dell’elettrico raggiunge il 20% per i veicoli free-floating e il 44% per lo station based. L’evoluzione della sharing mobility sta premiando sempre più i veicoli leggeri, di ridotte dimensioni ed elettrici. Se sommiamo la flotta dei ciclomotori, biciclette e monopattini arriviamo al 93% dell’intera flotta di mezzi in Sharing Mobility, +30% rispetto a 5 anni fa.

Quanto è conveniente?

Dal punto di vista economico, i servizi di Sharing Mobility presentano un costo medio a minuto di viaggio superiore a quello dei servizi di linea, ma inferiore al taxi. La combinazione di trasporto pubblico e servizi di sharing rispetto ai costi di possesso e utilizzo di un auto di proprietà consentirebbe infatti un risparmio annuo di 3.800 euro.
Quanto al primo semestre 2022, Roma e Milano confermano i dati positivi del 2021 mostrando un’ulteriore crescita. A Milano l’insieme dei noleggi registrati cresce del 113% e a Roma dell’83%, con un cumulativo di 12,6 milioni di noleggi. 

Come migliorare gli effetti di una seduta di massoterapia

Dopo una sessione di massoterapia, ci sono alcune cose che è possibile fare per migliorare il risultato di questa seduta e godere più a lungo dei suoi benefici.

Si tratta di pratiche che tutti possono effettuare autonomamente e che consentono di ottenere risultati veramente interessanti.

Vediamo di seguito di cosa si tratta, e cominciamo a metterne in pratica quante più è possibile per un effetto benefico assicurato.

Fare una passeggiata

Quella di fare una passeggiata dopo una seduta di massoterapia è certamente un’ottima idea. Prova a camminare per una decina di minuti circa a passo lento, ciò aiuterà certamente il tuo corpo ad abituarsi al meglio al nuovo stato di equilibrio.

Sarà inoltre un’ottima idea anche per velocizzare il metabolismo e migliorare la circolazione del sangue, soprattutto in quelle persone che hanno gambe e caviglie gonfie.

Bere molta acqua

Bere molta acqua è certamente indicato quale buona abitudine quotidiana, e lo è in particolar modo dopo una seduta di massoterapia.

Grazie all’acqua infatti è possibile eliminare tutte quelle tossine che si erano accumulate nel sangue nei mesi precedenti alla seduta, ovvero quando i tessuti erano bloccati o tesi.

In questa maniera si andrà inoltre a ridurre le possibilità di qualsiasi tipo di reazione successiva al trattamento, come ad esempio la sensazione generica di stanchezza.

È bene dunque ricordare di bere parecchia acqua per i due o tre giorni successivi alla seduta di massoterapia.

Concediti del riposo

Anche se a seguito della tua seduta di massoterapia ti senti molto meglio, evita di stressare il tuo corpo sottoponendolo ad esempio a sessioni di palestra o attività sportiva di un certo tipo per i primi quattro o cinque giorni dopo la seduta.

Il corpo ha Infatti ugualmente bisogno di qualche giorno di tempo per trovare il nuovo equilibrio e guarire, per questo motivo fai bene a prenderti il giusto riposo dopo la tua sessione di massoterapia.

Evita altri tipi di trattamento

Per i due o tre giorni che seguono la tua seduta di massoterapia, evita qualsiasi altro tipo di trattamento terapeutico. Niente massaggi dunque, così come niente agopuntura o qualsiasi altro tipo di trattamento fisico che possa andare a stressare il tuo corpo.

Un altro tipo di trattamento potrebbe andare infatti andare ad influire sul riassetto dell’equilibrio che l’organismo in quel momento sta cercando di raggiungere, per questo motivo meglio non effettuare altro tipo di trattamento nei giorni successivi alla seduta di massoterapia.

Considera che il recupero è individuale

Dopo che ci si sottopone ad una seduta di massoterapia, considera sempre che i tempi di recupero variano di persona in persona. Un organismo potrebbe guarire e recuperare nell’arco di un giorno, mentre un altro potrebbe avere bisogno di 2-3 giorni o qualcosa di più.

Ad influire sono anche lo stato emotivo e mentale di una persona, oltre quello fisico, e per questo motivo le variabili in gioco da considerare sono tante.

In alcuni casi potrebbero essere necessarie anche più sedute per arrivare alla guarigione completa, per questo motivo devi essere paziente e ascoltare il tuo fisico per capire quando effettivamente il tuo problema sarà stato del tutto risolto.

Fidati del tuo massoterapista

Qualsiasi dubbio o particolare sensazione tu possa avere a seguito della seduta di massoterapia, fidati del tuo massoterapista e segui i suoi consigli per massimizzare gli effetti del trattamento.

Questi professionisti hanno una notevole formazione e seguono periodici corsi massoterapia che servono loro ad individuare nuove e più efficaci tecniche di trattamento o semplicemente migliorare quelle che si adoperano già, nell’ottica di offrire al paziente un servizio migliore e certamente tempi di guarigione più rapidi.

Packaging e sostenibilità: nuovi scenari evolutivi 

L’aumento di costi energetici e materie prime, e i nuovi modelli valoriali e di consumo degli italiani, richiedono una revisione del ruolo della sostenibilità nella filiera agroalimentare, con particolare attenzione al packaging dei prodotti. Secondo i risultati dell’Osservatorio Packaging di Largo Consumo, realizzato da Nomisma in collaborazione con SpinLife, nel prossimo futuro i carrelli degli italiani non saranno solamente sinonimo di qualità, ma anche di sostenibilità. Oggi il 59% della popolazione presta più attenzione ai temi green rispetto al 2019. E per l’84% degli italiani la sostenibilità passa soprattutto per le scelte di acquisto alimentari. Ma acquistare un prodotto sostenibile significa soprattutto comprare un prodotto realizzato tramite un utilizzo responsabile delle risorse, e con un basso impatto ambientale, che riduca le emissioni di CO2 (70%), il consumo idrico (65%) ed energetico (63%).

Una responsabilità verso le generazioni future 

Sostenibilità per gli italiani significa anche “fare scelte di responsabilità verso le generazioni future (43%), che contrastino gli sprechi e che anzi portino un risparmio e un vantaggio economico (30%), come testimonia il fatto che l’89% degli italiani compie quotidianamente scelte sostenibili contenendo gli sprechi idrici ed energetici – spiega Silvia Zucconi, responsabile Business Unit Market Intelligence di Nomisma -. Ma la sostenibilità alimentare dipende anche dal packaging, che contribuisce a definire un prodotto sostenibile soprattutto quando è riciclabile (62%), realizzato con materiali sostenibili (59%), senza overpackaging (46%) e plastic free (41%)”.

Driver di scelta del prodotto e sistema valoriale

La presenza di caratteristiche di sostenibilità rappresenta un buon motivo per scegliere un prodotto alimentare al posto di un altro. Il 34% degli italiani indica la sostenibilità ambientale tra i principali driver di scelta di un prodotto alimentare, e il 28% sceglie anche in base alla sostenibilità del packaging Insomma, pur salvaguardando il budget familiare, il consumatore italiano non rinuncia al suo sistema valoriale, che diventa una bussola a cui affidare le scelte di consumo. Al punto che il 70% degli italiani nel corso del 2021 ha acquistato da aziende attive sul piano della tutela dell’ambiente, e il 63% da imprese con cui si condividono i medesimi valori.

È necessaria la cannuccia per consumare un brik?

Per gli italiani è poi molto importante avere tutte le informazioni necessarie per valutare la sostenibilità di un prodotto alimentare (e non) prima di acquistarlo. Informazioni che per il 75% degli italiani sono sull’etichetta del prodotto stesso. Ma il 64% dei consumatori vorrebbe saperne di più, e il 26% non ritiene sufficienti le informazioni di cui dispone. In ogni caso, occorre essere consapevoli che i progetti di sostenibilità sul packaging privilegeranno quelli che avranno un effetto in termini di riduzione di costo o servizio. In pratica, è necessaria la cannuccia per consumare un brik, o il tappo in plastica di una confezione da litro? Quanto costa in meno la carta rispetto al vetro o alla banda stagnata anche in termini di minor costo di trasporto? Sono le domande che si pongono le aziende.

Il Covid ha cambiato il mondo del beauty. Cosmetici e integratori nel post pandemia

Salute e ambiente sono al centro del processo di transizione ecologica che coinvolge le imprese di tutti i settori economici, alle quali è richiesto di utilizzare ingredienti più sicuri per l’uomo e processi sempre meno impattanti sull’ambiente. E la pandemia favorisce la crescita del mercato dei prodotti naturali e biologici, e dei prodotti destinati alla salute e al benessere in generale, che si tratti di prodotti da applicare o integratori. Se ancora, come nel passato, si conoscono e si acquistano di più i prodotti che si applicano rispetto agli integratori (99% contro il 73%), oggi l’acquisto degli integratori, che rispetto ai cosmetici hanno un profilo più legato al mantenimento in salute, è aumentato significativamente, passando dal 66% del 2019 al 77% del 2021. Lo dimostra il sondaggio condotto da Free Thinking per AIDECO e SISTE dal titolo Claims di cosmetici e alimenti: bellezza, bio-naturalità, sostenibilità e… verità.

Prendersi cura del proprio corpo, dei capelli e delle unghie

Le motivazioni di acquisto più forti, trasversalmente a tutti i prodotti, sia di applicazione sia integratori, sono legate all’apparire in forma e prendersi cura del proprio corpo, dei capelli e delle unghie. Fanno eccezione i prodotti per il viso, per i quali la motivazione principale è prevenire l’invecchiamento (lo dichiara il 58% di chi acquista prodotti beauty e il 49% di chi acquista integratori), e i prodotti per l’igiene personale, che negli ultimi due anni hanno risposto all’esigenza di contenere il contagio da Coronavirus.
Per la raccolta di informazioni di prodotto per il beauty e gli integratori accanto al web le figure di riferimento sono i farmacisti, mentre gli specialisti, i dermatologi e altre figure professionali in ambito medico, risentono di un accesso meno immediato dei pazienti.

Meglio affidarsi agli specialisti che all’influencer

Coerentemente con questo dato, la vendita di prodotti per il beauty e gli integratori avviene in farmacia e in parafarmacia (rispettivamente al 47% e al 31% beauty e al 52% e 31% integratori), mentre le erboristerie rappresentano il terzo canale di vendita (27%). Il web, seppure in aumento, per il consumatore italiano non rappresenta ancora un canale di riferimento per questo tipo di prodotti (25%). Una tendenza dimostrata anche dal fatto che le dichiarazioni preferite a garanzia del risultato del prodotto sono “approvato da specialisti” e “dermatologicamente testato”, mentre “raccomandato da influencer” chiude la classifica delle dichiarazioni a cui affidarsi.

Si cerca la garanzia che i prodotti non siano dannosi

Rispetto alle caratteristiche dei prodotti, i consumatori al momento dell’acquisto cercano la garanzia che i prodotti non siano dannosi. Ovvero, che abbiano certificazioni bio (77% beauty e 78% integratori), che siano naturali (77% beauty e 75% integratori) e senza alcuni particolari ingredienti (70% beauty e 75% integratori). Tra i claim oggetto della ricerca non emergono differenze significative tra le due categorie: “con ingredienti naturali 100%” e “senza derivati animali” appaiono i due claim più rilevanti (rispettivamente oltre il 50% il primo claim e vicino al 50% il secondo), mentre “impatto zero sull’ambiente”, “confezione riciclabile”, “certificato bio” e “a bassa emissione di CO2” si attestano intorno al 40% delle risposte degli intervistati.

Il “nuovo” welfare? Passa per sport e salute

Bilanciare correttamente vita privata e lavoro è una delle tendenze più forte degli ultimi anni, ulteriormente spinta dalla pandemia. E i lavoratori si aspettano dalle aziende mosse e misure che possano contribuire a questo equilibrio. “Secondo le ultime ricerche le aziende giocheranno un ruolo sempre più cruciale nel migliorare la prevenzione, il supporto e la cura della salute e del benessere delle persone” conferma Filippo Santoro, Managing Director di Urban Sports Club Italia, applicazione che si occupa di fornire soluzioni di sport e benessere di ogni tipo alle imprese. “Lo sport e le attività legate al benessere psicofisico costituiscono un benefit straordinario in grado di ridurre il livello di stress, favorire la coesione tra le persone e contribuire a migliorare salute e felicità. Ecco perchè parliamo di benefitness. Noi di Urban Sports Club ci poniamo come solution provider per offrire sport e benessere con una proposta completa che permette l’accesso a migliaia di strutture sportive, dalle classi online alle attività outdoor, con un’offerta che può adattarsi in modo personalizzato alle esigenze di ogni azienda”.

Obiettivo benessere 

Le ultimissime ricerche (dati Ipsos, gennaio 2022 della ricerca Being Mind-Healthy) dicono che solo il 24% degli italiani ritiene che il sistema sanitario pubblico fornisca un supporto adeguato e solo il 31% ritiene che il proprio datore di lavoro dia sostegno ai collaboratori quando si tratta di salute mentale.
La tendenza, sempre secondo la ricerca Ipsos, vede le donne e i più giovani, in particolare in Europa e specialmente in Italia, tra le categorie più colpite nel benessere psicologico a causa della pandemia (48% in Italia, contro il 33% a livello globale). Ma non è tutto. L’Italia risulta, insieme a Francia e Giappone, a quasi due anni dallo scoppio della pandemia tra i Paesi la cui popolazione è più colpita sul fronte della salute mentale. Tra l’altro, secondo un’altra indagine (BVA Doxa ottobre 2021), quasi l’85% delle persone considera il proprio benessere psicologico generale correlato al proprio benessere sul lavoro e viceversa.

I malesseri più diffusi

Ma quali sono le conseguenze della difficoltà di vivere bene sul posto di lavoro? Casi di burnout almeno una volta nell’ultimo anno per l’80% di lavoratrici e lavoratori; difficoltà a definire i confini tra lavoro e vita privata per il 51%; casi di ansia e insonnia per motivi legati al lavoro per il 49% dei dipendenti italiani.
“Paradossalmente potremmo dire che accanto al grave tema del rincaro del costo dell’energia, spiega ancora Filippo Santoro, c’è un’altra crisi energetica che sta riguardando proprio la salute mentale dei lavoratori. Il concetto di benefitness va nella direzione di offrire alle aziende delle soluzioni affinchè dipendenti e collaboratori adottino uno stile di vita sano in grado di migliorarne il benessere fisico e mentale”.

Finanza sostenibile: quale è la percezione dei risparmiatori?

Nel biennio 2020-2021 emerge un nuovo scenario di riferimento. Se da un lato sono aumentati coloro che vivono in povertà assoluta dall’altro una parte significativa degli italiani ha incrementato la quota dei propri risparmi e investimenti rispetto al consueto. Nel corso della Settimana SRI, l’evento italiano sulla finanza sostenibile, sono stati presentati i risultati della ricerca Finanza sostenibile in tempo di crisi: la percezione dei risparmiatori, condotta da BVA Doxa per il Forum per la Finanza Sostenibile. E dall’indagine è emerso che circa la metà degli intervistati sta cambiando le proprie abitudini finanziarie, e il 18% ha già sottoscritto prodotti SRI.

Le abitudini di investimento in tempo di pandemia

Se quasi la metà dei risparmiatori ha modificato le proprie abitudini finanziarie i principali cambiamenti riguardano la finalità dell’investimento, orientato ad accantonare somme più elevate per il futuro (40%), l’attenzione crescente alle informazioni su mercati e situazione economica (28%), e la definizione del profilo di rischio e dell’orizzonte temporale degli investimenti (23%). A seguito della pandemia si è inoltre osservato un aumento della digitalizzazione: il 43% dei risparmiatori ha incrementato l’utilizzo dei canali digitali per gestire i propri prodotti di risparmio e investimento. Il digitale non ha sostituito però i riferimenti fisici tradizionali, che rimangono predominanti soprattutto per la sottoscrizione di nuovi prodotti.

Gli investitori incrementano la quota di investimenti SRI

Nel 2021 i risparmiatori che conoscono o hanno almeno sentito parlare di investimenti sostenibili aumentano del 20% rispetto al 2019, arrivando a quota 77%. Cresce anche la quota di quanti hanno investito in prodotti SRI, o in aziende con precise politiche di sostenibilità sociale e/o ambientale: nel 2021 sono il 18%, contro il 14% del 2019. Per l’82% dei risparmiatori nelle scelte di investimento i temi ESG infatti sono importanti. L’ambiente rimane l’ambito predominante, anche se la pandemia ha contribuito ad aumentare l’attenzione alla sfera sociale. Inoltre, chi già investe in prodotti SRI dichiara di averne constatato la validità sul piano delle performance nell’esperienza diretta. Da quando è iniziata la pandemia il 35% dei sottoscrittori ha incrementato la quota di investimenti sostenibili e il 57% pensa di farlo in futuro.

Il ruolo della sostenibilità nell’economia

I risparmiatori notano poi una maggiore prontezza degli operatori finanziari sui temi della sostenibilità. Il 46% degli intervistati dichiara di ricevere dalla propria banca, assicurazione o consulente finanziario, più informazioni sugli investimenti sostenibili rispetto al passato. Il 47% dei risparmiatori, inoltre, percepisce un aumento delle competenze e dell’attenzione a questi temi nel settore finanziario. In ogni caso, il 44% degli intervistati ritiene che integrare maggiormente la sostenibilità ambientale, sociale e di governance tra i criteri che guidano le scelte strategiche delle aziende possa contribuire a una ripresa più rapida. Per il 60% degli intervistati, la situazione legata al Covid-19 sta cambiando l’atteggiamento sulla sostenibilità di cittadini, imprese e istituzioni. Per il 48% l’attenzione aumenterà, mentre per il 12% questa diminuirà.

I politici sono la categoria professionale meno affidabile

A livello internazionale, il 64% dei cittadini valuta medici e dottori come le figure professionali maggiormente affidabili, a seguire si posizionano gli scienziati, con il 61%, e gli insegnanti, con il 55%. Le ultime posizioni della classifica sono occupate dai politici, con il 10%, dai ministri del Governo, con il 14%, e dai dirigenti pubblicitari, con il 15%. Si tratta dei risultati del nuovo sondaggio Ipsos Global Trustworthiness Index, che ha coinvolto 28 Paesi, e che in media, dal 2018 rileva il livello di fiducia riposto dalle persone in diverse categorie professionali. La rilevazione di quest’anno ha fornito anche un confronto tra il mondo pre-pandemia e quello di oggi.

Poca fiducia nei dirigenti pubblicitari, i ministri del Governo e i politici

A livello internazionale, tre professioni si distinguono per essere considerate meno affidabili: dirigenti pubblicitari, ministri del Governo e politici. Tra il 2019 e il 2021 la percentuale di coloro che vedono i politici come inaffidabili è diminuita di 4 punti (dal 66% al 62%), mentre il livello di sfiducia nei ministri del Governo è diminuito di 5 punti (dal 58% al 53%), e se nel 2019 quasi la metà degli intervistati a livello internazionale considerava inaffidabili i dirigenti pubblicitari (45%), ora la quota è pari al 39%. Soltanto il 15% degli intervistati ripone fiducia nei dirigenti pubblicitari, il 14% nei ministri del Governo e il 10% nei politici. In Italia, il 9% dei cittadini ritiene i politici affidabili e il 15% ritiene affidabili ministri del Governo e dirigenti pubblicitari.

Medici e dottori, l’impatto del Covid-19

Sebbene, negli ultimi anni, le posizioni di molte professioni siano rimaste invariate, la pandemia da Covid-19 ha avuto un impatto notevole sulla posizione occupata da medici e dottori. Infatti, la fiducia in questa categoria professionale è aumentata di 7 punti percentuali dal 2019. La Gran Bretagna è il Paese che affida il punteggio più alto di fiducia nei medici, con il 72%, seguono i Paesi Bassi, con il 71%, e il Canada con il 70%. La percentuale dell’Italia si avvicina molto alla media internazionale: il 65% ripone la propria fiducia nella categoria dei medici.

Il 68% degli italiani ritiene gli scienziati affidabili

Gli scienziati sono la categoria professionale che ottiene in media la fiducia del 61% degli intervistati, e la loro posizione è rimasta invariata in molti mercati negli ultimi due anni. In Italia, la categoria professionale degli scienziati occupa il primo posto della classifica: il 68% dei cittadini la ritiene affidabile, anche in misura maggiore rispetto a medici e dottori. Per la terza rilevazione consecutiva, gli insegnanti continuano a rimanere sul podio occupando il terzo posto, con una media del 55% a livello internazionale che li definisce affidabili. Anche in questo caso il livello di fiducia riposto nella categoria professionale degli insegnati ha subito piccole variazioni negli ultimi anni. Tra i maggiori aumenti registrati, Italia e Sudafrica (+6), mentre il livello di fiducia è diminuito negli Stati Uniti (-6) e in Argentina (-5).

Mutui, mai così convenienti

Il settore immobiliare è stato uno dei più colpiti dalla pandemia, ma con il ritorno graduale alla normalità il mercato è stato travolto da una ventata di ottimismo grazie al calo consistente dei tassi applicati ai mutui che hanno raggiunto i minimi storici. A dirlo è un recentissimo studio di Facile.it e Mutui.it che ha addirittura esplorato l’andamento dei tassi anche negli altri Paesi europei e in alcuni Stati del mondo, scoprendo che da noi i tassi ora sono bassi, anzi bassissimi. Per chi ha in programma di acquistare casa, il momento è perfetto per chiedere un mutuo a condizione estremamente vantaggiose.

In Italia i mutui più convenienti d’Europa

L’analisi, effettuata sui valori registrati ad agosto, ha considerato un immobile dal valore di 180.000 euro, una richiesta di finanziamento di 120.000 euro ed un piano di restituzione pari a 20 anni. In Italia, nel periodo di riferimento, questo tipo di finanziamento era indicizzato con taeg tra 0,88% e 0,98% se fisso e fra 0,67% e 0,77% se variabile. Senza dubbio il migliore fra le 14 nazioni dell’indagine.
Guardando unicamente al tasso fisso e al taeg, in Europa si avvicina ai valori italiani solo la Germania, dove il mutuo viene indicizzato a partire dall’1,18%. Fanno peggio, invece, alcuni Stati europei che, tradizionalmente, avevano tassi di interesse più simili a quelli del nostro Paese: è il caso della Spagna, dove il finanziamento è indicizzato dall’1,64%, e del Portogallo (a partire dall’1,91%).
Sempre restando entro i confini del Vecchio Continente, dall’analisi è emerso come le indicizzazioni del tasso fisso, considerando ancora una volta il taeg, partano dal 2,30% in Norvegia e dal 2,40% nel Regno Unito. Sebbene per queste due nazioni sia stato possibile rilevare solo il tan e non il taeg, è evidente come anche in Albania e in Grecia i mutuatari si trovino a pagare tassi notevolmente maggiori e pari, rispettivamente, al 3,00% e al 3,20%. Anche rispetto al tasso variabile (considerando il taeg), in Europa, tra i Paesi analizzati, nessuno fa meglio dell’Italia e le offerte rilevate partono dall’1,53% della Spagna fino all’1,95% del Portogallo.

I più cari in Russia e Brasile

E nel resto del mondo? L’analisi – che ha tenuto in considerazione il tan e non il taeg – rivela che per i tassi fissi, gli indici partono dall’1,44% in Canada, dall’1,89% in Australia, dal 2,13% in Giappone e dal 2,25% negli Stati Uniti. Guardando ai tassi variabili, invece, il Canada è l’unico Stato che, con un tan dello 0,98%, si avvicina a quello del nostro Paese; continuando l’analisi extra-europea i valori rilevati partono dall’1,41% in Giappone, dall’1,83% negli Stati Uniti, fino all’1,85% dell’Australia. Situazione molto diversa invece in Russia o in Brasile; nonostante il calo registrato nel corso dell’ultimo anno, i tassi fissi rilevati, se paragonati a quelli italiani, risultano davvero proibitivi; si parte rispettivamente dal 4,95% e dal 6,70%. 

Lavoro, come è cambiato l’approccio dopo il Covid-19?

Che la pandemia di Covid-19 sia destinata a lasciare tracce profonde nelle nostre abitudini, dopo averle rivoluzionate nel giro di poche settimane, è sotto gli occhi di tutti. Tra queste, rientra anche l’approccio al lavoro, cambiato moltissimo dopo l’introduzione massiccia dello smart working. Ma, al di là delle sensazioni personali, qual è la situazione attuale dei lavoratori e quali le prospettive future? Queste tematiche sono state indagate dal nuovo sondaggio Ipsos, condotto in collaborazione con il World Economic Forum in 29 Paesi del mondo.

Si lavora di più da remoto

Rispetto al periodo pre Covid-19, ci sono stati dei cambiamenti nel mondo del lavoro condivisi globalmente. Il sondaggio evidenzia che in media, a livello internazionale, il 23% degli intervistati dichiara di lavorare da casa in misura maggiore rispetto a prima della pandemia. Percentuale leggermente più bassa in Italia, in cui il 18% dei lavoratori dichiara di lavorare più da casa, il 73% non ha notato nessun cambiamento e il 9% continua a lavorare meno da casa rispetto al periodo precedente alla pandemia. Prima che la pandemia scoppiasse, il 53% degli intervistati a livello internazionale ha dichiarato di aver sempre lavorato in ufficio lontano da casa; percentuale che si attualmente si è ridotta al 39%. In Italia, prima dello scoppio del Covid-19, il 56% dei lavoratori ha dichiarato di aver sempre lavorato in ufficio lontano da casa, il 15% ha sempre operato lontano da casa ma non in ufficio, il 14% ha sempre svolto le proprie mansioni da casa; infine, il restante 14% ha sempre lavorato da casa e qualche volta lontano dalla propria abitazione. E ora come stanno lavorando gli italiani? Il 48% è ritornato in ufficio, il 16% lavora lontano da casa ma non in ufficio, il 21% svolge i suoi compiti da casa, mentre il 15% lavora qualche volta a casa e qualche volta lontano da casa.

Quando si tornerà a lavorare in sede? 

Tra coloro che riferiscono di usufruire dello smart-working almeno qualche volta, il 76% a livello internazionale afferma di farlo a causa del Covid-19. Anche in Italia, il 26% dei lavoratori ha espresso di aver sempre lavorato da casa come ora, mentre, il 74% ha incominciato a svolgere le diverse mansioni da casa come conseguenza del Covid-19. Ma quali sono le percentuali di chi si aspetta di ritornare a svolgere la propria occupazione in sede? Il 31% dei lavoratori italiani ha dichiarato che reputa che tornerà alla normalità – e all’ufficio – in meno di 6 mesi, il 21% dai 6 mesi a 1 anno, il 9% tra oltre un anno, il 21% non pensa ritornerà alle solite modalità di lavoro e il 18% non ha un’opinione in merito.

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