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Anche fare colazione al bar costa di più cara: caffè +18%

Dal caffè al cappuccino, dal cornetto alla spremuta d’arancia, i prezzi nei primi mesi del 2022 sono aumentati a due cifre. E da Nord a Sud, il re della colazione, il caffè, segna aumenti tra il 17% e il 18%. Anche cappuccino e cornetto non sono da meno: il primo aumenta dal 15% al 18% a seconda delle zone geografiche, e il cornetto dal 17% al 19%. Il rincaro record spetta però all’acqua in bottiglia da mezzo litro, che al Sud e nelle Isole aumenta del 45% rispetto al 2021, allineandosi ai prezzi praticati nel resto d’Italia. Insomma, gli aumenti dei prezzi hanno intaccato anche uno degli appuntamenti di rito degli italiani, la colazione al bar. È quanto rileva l’Osservatorio Nazionale Federconsumatori in una ricerca realizzata per l’Adnkronos.

Cappuccino e cornetto a 2,84 euro

In pratica, per una colazione composta da un cappuccino e un cornetto il costo medio è passato da 2,43 euro del 2021 a 2,84 euro del 2022, con un aggravio che in un anno ammonta a circa +106,30 euro a persona. Chi invece non può rinunciare a una pausa all’insegna di un buon caffè al giorno subirà rincari di +64,07 euro annui. Il tutto consumato rigorosamente al banco. Per chi decide di accomodarsi al tavolo i rincari sono ancora più evidenti. Cappuccino e cornetto, serviti al tavolo, possono infatti costare dal 22% al 48% in più rispetto al prezzo praticato al banco.
Si tratta di aumenti elevati che inducono Federconsumatori a chiedere all’Antitrust di accendere un faro per scongiurare ipotesi di cartello e intollerabili fenomeni speculativi.

Ferrara, Padova, Modena e Ravenna al top della classifica del caro caffè

Insomma, il caffè espresso, candidato dall’Italia a patrimonio Unesco, prosegue nella sua corsa al rialzo dei prezzi, un fenomeno che appare evidente già a dicembre 2021 dal Rapporto annuale di Fipe, dove l’associazione dei pubblici esercizi ha rilevato i prezzi della tazzina al bar in base ai valori medi rilevati nei capoluoghi di provincia (Osservatorio prezzi su dati Istat). In una ipotetica classifica risulta al primo posto Ferrara, con il prezzo di un caffè più alto, 1 euro e 18 centesimi, seguita da Padova (1,16 euro) e da Modena e Ravenna (1,15 euro).

A Napoli, Trieste, Reggio Emilia la tazzina costa meno di 1 euro

Tra le grandi città l’espresso a Roma è arrivato a una media di 1,10 euro e a Milano 1,05 euro, mentre a Napoli, a Trieste e a Reggio Emilia la tazzina si colloca a 0,90 centesimi, a Bari 0,91 e Terni 0,89 centesimi. L’espresso meno caro è invece a Messina: 0,82 centesimi. Analogo trend per il cappuccino, dove il più caro si beve ad Avellino, con il prezzo medio di 1,85 euro, seguita da Bolzano (1,76 euro) e Siracusa (1,61 euro).
Stupisce che il prezzo più basso si paghi a Roma, con 1,13 euro, ma prezzi bassi anche a Grosseto (1,22 euro) e Catanzaro (1,23 euro).

Il Covid ha cambiato il mondo del beauty. Cosmetici e integratori nel post pandemia

Salute e ambiente sono al centro del processo di transizione ecologica che coinvolge le imprese di tutti i settori economici, alle quali è richiesto di utilizzare ingredienti più sicuri per l’uomo e processi sempre meno impattanti sull’ambiente. E la pandemia favorisce la crescita del mercato dei prodotti naturali e biologici, e dei prodotti destinati alla salute e al benessere in generale, che si tratti di prodotti da applicare o integratori. Se ancora, come nel passato, si conoscono e si acquistano di più i prodotti che si applicano rispetto agli integratori (99% contro il 73%), oggi l’acquisto degli integratori, che rispetto ai cosmetici hanno un profilo più legato al mantenimento in salute, è aumentato significativamente, passando dal 66% del 2019 al 77% del 2021. Lo dimostra il sondaggio condotto da Free Thinking per AIDECO e SISTE dal titolo Claims di cosmetici e alimenti: bellezza, bio-naturalità, sostenibilità e… verità.

Prendersi cura del proprio corpo, dei capelli e delle unghie

Le motivazioni di acquisto più forti, trasversalmente a tutti i prodotti, sia di applicazione sia integratori, sono legate all’apparire in forma e prendersi cura del proprio corpo, dei capelli e delle unghie. Fanno eccezione i prodotti per il viso, per i quali la motivazione principale è prevenire l’invecchiamento (lo dichiara il 58% di chi acquista prodotti beauty e il 49% di chi acquista integratori), e i prodotti per l’igiene personale, che negli ultimi due anni hanno risposto all’esigenza di contenere il contagio da Coronavirus.
Per la raccolta di informazioni di prodotto per il beauty e gli integratori accanto al web le figure di riferimento sono i farmacisti, mentre gli specialisti, i dermatologi e altre figure professionali in ambito medico, risentono di un accesso meno immediato dei pazienti.

Meglio affidarsi agli specialisti che all’influencer

Coerentemente con questo dato, la vendita di prodotti per il beauty e gli integratori avviene in farmacia e in parafarmacia (rispettivamente al 47% e al 31% beauty e al 52% e 31% integratori), mentre le erboristerie rappresentano il terzo canale di vendita (27%). Il web, seppure in aumento, per il consumatore italiano non rappresenta ancora un canale di riferimento per questo tipo di prodotti (25%). Una tendenza dimostrata anche dal fatto che le dichiarazioni preferite a garanzia del risultato del prodotto sono “approvato da specialisti” e “dermatologicamente testato”, mentre “raccomandato da influencer” chiude la classifica delle dichiarazioni a cui affidarsi.

Si cerca la garanzia che i prodotti non siano dannosi

Rispetto alle caratteristiche dei prodotti, i consumatori al momento dell’acquisto cercano la garanzia che i prodotti non siano dannosi. Ovvero, che abbiano certificazioni bio (77% beauty e 78% integratori), che siano naturali (77% beauty e 75% integratori) e senza alcuni particolari ingredienti (70% beauty e 75% integratori). Tra i claim oggetto della ricerca non emergono differenze significative tra le due categorie: “con ingredienti naturali 100%” e “senza derivati animali” appaiono i due claim più rilevanti (rispettivamente oltre il 50% il primo claim e vicino al 50% il secondo), mentre “impatto zero sull’ambiente”, “confezione riciclabile”, “certificato bio” e “a bassa emissione di CO2” si attestano intorno al 40% delle risposte degli intervistati.

Misure anti-Covid: i benefici per l’aria e la salute

Lockdown e restrizioni alla circolazione hanno portato a un drastico calo dell’inquinamento atmosferico nelle città, con conseguenti benefici anche per la salute. Insomma, alcune misure anti-Covid adottate all’inizio della pandemia si sono dimostrate utili anche per combattere l’inquinamento atmosferico. È quanto evidenziato uno studio internazionale sull’andamento della qualità dell’aria in 47 città europee, tra cui Roma, Milano, Parigi, Londra e Barcellona, pubblicato sulla rivista Nature e realizzato da numerose istituzioni di ricerca, tra cui l’Enea, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile.

L’inquinante che ha subito la riduzione maggiore è il biossido di azoto

In particolare, dall’indagine emerge che il forte calo dei livelli di inquinamento atmosferico nel periodo monitorato, ovvero da febbraio a luglio 2020, è dovuto principalmente alla limitazione degli spostamenti quotidiani in città e all’obbligo di permanenza nelle abitazioni. Un minore impatto hanno avuto invece le restrizioni alla circolazione tra le regioni e i viaggi internazionali. L’inquinante che ha subito la riduzione maggiore è il biossido di azoto (NO2), più che dimezzato in sette città italiane ed europee: Milano, Torino, Roma, Madrid, Lisbona, Lione e Parigi.

Concentrazioni di NO2 precipitate fin dalla prima metà di marzo 2020

“Il calo è dovuto soprattutto al divieto della circolazione e del trasporto su strada, che rappresenta la principale fonte di emissioni di questo inquinante – spiega Mario Adani, ricercatore Enea del Laboratorio Inquinamento Atmosferico e coautore dello studio -. Le concentrazioni di biossido di azoto hanno iniziato a precipitare fin dalla prima metà di marzo 2020, quando i governi hanno imposto le prime restrizioni. Le differenze tra le città possono essere correlate solo ai diversi tempi di attuazione delle politiche di blocco e alle variazioni nella severità delle misure”.

Più decessi evitati per la riduzione dell’inquinamento

Lo studio ha quantificato anche il numero di morti premature evitate a seguito della riduzione dell’inquinamento per effetto delle misure adottate dai governi Ue contro la pandemia, riferisce Italpress. Da febbraio a luglio 2020 il numero totale di decessi evitati è stato pari a 486 per il biossido di azoto (NO2), 37 per l’ozono (O3), 175 per il PM2.5 e 134 per il PM10. In particolare Milano, Parigi, Londra e Barcellona sono state tra le prime città con il maggior numero di decessi evitati da biossido di azoto (NO2) e polveri sottili. Per l’Italia, lo studio ha quantificato le morti evitate a Milano, Napoli, Roma e Torino, per ciascuno degli inquinanti analizzati. Ad esempio, a Roma sono stati evitati 18 decessi da NO2, 6 da O3, 7 da PM10 e 5 da PM2.5.

Il “nuovo” welfare? Passa per sport e salute

Bilanciare correttamente vita privata e lavoro è una delle tendenze più forte degli ultimi anni, ulteriormente spinta dalla pandemia. E i lavoratori si aspettano dalle aziende mosse e misure che possano contribuire a questo equilibrio. “Secondo le ultime ricerche le aziende giocheranno un ruolo sempre più cruciale nel migliorare la prevenzione, il supporto e la cura della salute e del benessere delle persone” conferma Filippo Santoro, Managing Director di Urban Sports Club Italia, applicazione che si occupa di fornire soluzioni di sport e benessere di ogni tipo alle imprese. “Lo sport e le attività legate al benessere psicofisico costituiscono un benefit straordinario in grado di ridurre il livello di stress, favorire la coesione tra le persone e contribuire a migliorare salute e felicità. Ecco perchè parliamo di benefitness. Noi di Urban Sports Club ci poniamo come solution provider per offrire sport e benessere con una proposta completa che permette l’accesso a migliaia di strutture sportive, dalle classi online alle attività outdoor, con un’offerta che può adattarsi in modo personalizzato alle esigenze di ogni azienda”.

Obiettivo benessere 

Le ultimissime ricerche (dati Ipsos, gennaio 2022 della ricerca Being Mind-Healthy) dicono che solo il 24% degli italiani ritiene che il sistema sanitario pubblico fornisca un supporto adeguato e solo il 31% ritiene che il proprio datore di lavoro dia sostegno ai collaboratori quando si tratta di salute mentale.
La tendenza, sempre secondo la ricerca Ipsos, vede le donne e i più giovani, in particolare in Europa e specialmente in Italia, tra le categorie più colpite nel benessere psicologico a causa della pandemia (48% in Italia, contro il 33% a livello globale). Ma non è tutto. L’Italia risulta, insieme a Francia e Giappone, a quasi due anni dallo scoppio della pandemia tra i Paesi la cui popolazione è più colpita sul fronte della salute mentale. Tra l’altro, secondo un’altra indagine (BVA Doxa ottobre 2021), quasi l’85% delle persone considera il proprio benessere psicologico generale correlato al proprio benessere sul lavoro e viceversa.

I malesseri più diffusi

Ma quali sono le conseguenze della difficoltà di vivere bene sul posto di lavoro? Casi di burnout almeno una volta nell’ultimo anno per l’80% di lavoratrici e lavoratori; difficoltà a definire i confini tra lavoro e vita privata per il 51%; casi di ansia e insonnia per motivi legati al lavoro per il 49% dei dipendenti italiani.
“Paradossalmente potremmo dire che accanto al grave tema del rincaro del costo dell’energia, spiega ancora Filippo Santoro, c’è un’altra crisi energetica che sta riguardando proprio la salute mentale dei lavoratori. Il concetto di benefitness va nella direzione di offrire alle aziende delle soluzioni affinchè dipendenti e collaboratori adottino uno stile di vita sano in grado di migliorarne il benessere fisico e mentale”.

Tecnologia di consumo: in Italia il mercato sale a +9,2%

Quello appena concluso è un anno decisamente positivo per la Tecnologia di consumo. Secondo i dati GfK in Italia le vendite sono cresciute del +9,2% rispetto al 2020, e il valore complessivo del mercato ha raggiunto i 17,5 miliardi di euro. A trainare la crescita è il comparto dell’Elettronica di consumo (+35,9%), il Grande Elettrodomestico (+9,7%) e la Telefonia (+6,6%) In un anno caratterizzato dal ritorno alla crescita per l’economia italiana, il settore della Tecnologia di consumo non fa eccezione e registra incrementi record. Ma ancora più rilevante è il dato paragonato al 2019, quindi al periodo post pandemico, dove la crescita è addirittura del +18,5%.

Aumentano le vendite nei canali tradizionali

Per quanto riguarda i canali, le vendite nei punti vendita tradizionali hanno evidenziato una performance superiore alle vendite Online, per effetto dei forti trend registrati a marzo e aprile e al ‘rimbalzo’ rispetto le chiusure e le limitazioni del 2020. In particolare, la crescita delle vendite tradizionali è stata del +9,5%, mentre la crescita del canale online si è fermata al +8,1%, probabilmente per il motivo opposto, ovvero, per il forte incremento del canale online che aveva già caratterizzato l’anno 2020.

Il peso del canale online scende infatti leggermente, e passa al 24,2% rispetto al 24,4% del totale delle vendite a valore del 2020. 

L’Elettronica di Consumo con Video e TV traina la crescita

A condurre la crescita del mercato è la performance molto positiva del comparto Elettronica di Consumo (+35,9%), che include al proprio interno le categorie del Video e TV (+38%). Grazie allo switch-off a fine 2021 i televisori arrivano a generare il 13,5% del valore complessivo del mercato italiano. Ma il 2021 è stato caratterizzato da trend in crescita per tutti i settori, soprattutto il Grande Elettrodomestico (+9,7%), e la Telefonia (+6,6%), che con un peso sul totale del 34% si conferma il settore più importante per fatturato. Il Piccolo elettrodomestico cresce invece del +5,5%, mentre l’Information Technology/Office rappresenta l’unico settore in decrescita (-0,8%). D’altronde, occorre ricordare che lo scorso anno questo settore aveva fatto registrare vendite record.

L’ultimo trimestre genera quasi il 33% del totale delle vendite a valore

Ottime le prestazioni anche dei settori più marginali, come Home Comfort (+15,3%) e Photo (+14,6%), che però non tornano ai fatturati del 2019. Si conferma poi l’importanza delle vendite effettuate nell’ultimo trimestre dell’anno, che generano quasi il 33% del totale delle vendite a valore. La difficoltà nel reperimento delle materie prime, a partire dai semiconduttori, ha rallentato una crescita che poteva essere ancor più sostenuta, ma insieme all’aumento dei costi della logistica, ha generato un incremento dei prezzi in tutti i settori.

Lo spreco di cibo torna a salire: +15% 

Nelle case degli italiani torna a crescere lo spreco di cibo, interrompendo un trend positivo partito nel 2019. Di fatto, nella spazzatura gettiamo in media 595,3 grammi di cibo pro capite a settimana, ovvero 30,956 kg annui, circa il 15% in più del 2021, quando erano 529 grammi settimanali. Il dato è accentuato al Sud (+18% rispetto alla media nazionale) e per le famiglie senza figli (+12%).
Si tratta di dati in controtendenza con l’ultimo biennio, come attesta il Rapporto ‘Il caso Italia’ 2022 di Waste Watcher International su monitoraggio Ipsos, diffuso in occasione della IX Giornata nazionale di Prevenzione dello spreco alimentare, per iniziativa della campagna Spreco Zero di Last Minute Market e dell’Università di Bologna.

Uno sperpero annuale di 1.866.000 tonnellate

Lo spreco del cibo nelle nostre case vale complessivamente 7,37 miliardi di euro, corrispondente allo sperpero annuale di 1.866.000 tonnellate di cibo. Se includiamo anche lo spreco alimentare di filiera (5.164.928 tonnellate), arriviamo a uno spreco nazionale di quasi 10 miliardi e mezzo.
“La tendenza a una diminuzione dello spreco alimentare domestico, che a livello nazionale e globale gioca la parte del leone, con un’incidenza del 60-70% sulla filiera campo-tavola, ha interrotto sensibilmente il suo slancio positivo con il ritorno alla vita sociale – spiega l’agroeconomista Andrea Segrè, fondatore della campagna Spreco Zero e della Giornata nazionale di Prevenzione dello spreco alimentare -. Una battuta di arresto che si spiega in parte per la ripresa del consumo extra-domestico – aggiunge Segrè – e in parte per la difficoltà generale delle condizioni di vita dell’ultimo anno”.

La hit dei più buttati

L’indagine spiega che nella hit degli alimenti più spesso sprecati svettano la frutta fresca (27%), cipolle aglio e tuberi (17%), pane fresco (16%), verdure (16%) e insalata (15%).
“L’Italia – continua Segrè – resta comunque la nazione più virtuosa nel ‘G8 dello spreco’, che vede i russi a quota 672 grammi settimanali, gli spagnoli a 836 grammi, i cittadini inglesi a 949, i tedeschi a 1081, i canadesi a 1144, i cinesi a 1153 e in fondo i cittadini statunitensi, che ‘auto-denunciano’ lo spreco di 1453 grammi di cibo settimanali. Tuttavia, guardando anche alla tipologia dei prodotti che sprechiamo, è evidente che dobbiamo fare ancora molta strada per ridurre lo spreco e migliorare la nostra dieta alimentare”.

Gli effetti negativi dello spreco

Quali sono gli effetti negativi dello spreco secondo i consumatori italiani? Al top, lo spreco di denaro, vissuto come aspetto più grave da oltre 8 italiani su 10 (83%). C’è poi l’effetto diseducativo sui giovani (83%), l’immoralità intrinseca dello spreco alimentare (80%) e delle risorse (78%), e l’inquinamento ambientale (76%).
“La via maestra resta dunque quella di una svolta culturale che sostenga l’adozione e la replica delle buone pratiche nel nostro quotidiano, dall’acquisto del cibo alla sua gestione e fruizione – sottolinea Segrè -. Per questo rilanciamo la proposta di mettere al centro dei programmi di educazione civica, nelle scuole, i temi dell’educazione alimentare e ambientale”.

Sono 1 milione i posti tech vacanti, e i developer sono i più richiesti

Negli ultimi due anni le aziende hanno accelerato i processi di digitalizzazione, e a oggi sono più di 1 milione i posti lavoro vacanti nel settore tech. In particolare, a mancare sono gli sviluppatori. Quello dei developer è infatti uno dei 25 lavori in più rapida crescita negli ultimi cinque anni, e con più richieste da parte delle aziende.  Di fatto, gli sviluppatori It ricevono circa 24 offerte di lavoro al mese, tuttavia, soltanto il 13% dei developer è alla ricerca attiva di lavoro. Inoltre, il 67% degli sviluppatori non sta attivamente cercando un impiego, pur dichiarandosi aperto a nuove opportunità. 
Ma come attrarre e trattenere un bravo sviluppatore? Per aiutare Hr e imprese a conquistare gli sviluppatori, e superare questo mismatch, Codemotion ha stilato 5 consigli per attrarre i migliori developer in azienda.

Dal focus sulle tecnologie alla formazione: come attrarre gli sviluppatori

Dal focus sulle tecnologie alla formazione, e dalle selezioni snelle e trasparenti alla creazione di un digital mindset che coinvolga tutti i dipendenti, sono questi i 5 consigli di Codemotion per a trarre e trattenere un bravo sviluppatore in azienda.

“Gli sviluppatori sono tra le figure professionali più ricercate dal mercato del lavoro e se le imprese vogliono vincere la competizione per attrarre i migliori developer devono imparare a parlare la loro lingua – afferma Nelly Bonfiglio, Chief Commercial Officer di Codemotion -. La chiave per attrarre e trattenere un bravo sviluppatore è offrire ciò che realmente cerca, come selezioni snelle e trasparenti, disponibilità di nuove tecnologie, formazione – osserva Bonfiglio -, ma anche avere una cultura aziendale e un mindset digitale comune a tutta la popolazione aziendale, che consenta al developer di esprimere il suo potenziale”.

Coltivare un mindset digitale e flessibile

Obiettivo delle aziende deve quindi essere quello di diventare il posto migliore in cui uno sviluppatore vorrebbe andare a lavorare. In questo senso, il ruolo del mondo delle Risorse Umane è fondamentale.
Ma qual è la chiave? Stando ai 5 consigli di Codemotion, al colloquio di lavoro è meglio parlare la lingua degli sviluppatori e specificare le tecnologie usate in azienda. Inoltre, bisogna essere trasparenti nella selezione, quindi promuovere la formazione, e coltivare un mindset digitale e flessibile.

Il format per favorire il contatto fra Hr e sviluppatori

Codemotion è la piattaforma per la crescita professionale degli sviluppatori e per le aziende alla ricerca dei migliori talenti in ambito tecnologico. Insieme a Acea, Ey, Musement, PwC e Teoresi Group Codemotion ha quindi ideato il format #HRmeetsDev composto da una serie di panel con l’obiettivo di far incontrare il mondo delle Risorse Umane con il mondo Tech e aprire un dialogo tra queste due realtà.

Intelligenza Artificiale: il 60% delle aziende la usa, ma è preoccupata

Secondo il sondaggio condotto online dallo studio legale Dentons alla fine del 2021, il 48% delle aziende a livello globale è all’inizio del percorso di inserimento di sistemi basati sull’Intelligenza Artificiale, e il 12% è early adopter della nuova tecnologia. Nonostante l’incertezza sul funzionamento dei processi decisionali dell’AI, e la preoccupazione sulle conseguenze delle sue possibili azioni o omissioni, il 60% delle società però già la sta utilizzando.
“Per l’Intelligenza artificiale è un momento di grande sviluppo – commenta l’avvocato Giangiacomo Olivi, Co-Head of Europe Data Privacy and Cybersecurity, Intellectual Property and Technology di Dentons -, che vede un numero sempre maggiore di imprese, in tutto il mondo, adottare questa tecnologia come parte integrante delle strategie di crescita del proprio business”.

Per utilizzare al meglio l’AI non ci si può fermare ai benefici immediati

“Per utilizzare al meglio l’AI, con tutte le sue potenzialità, non ci si può fermare ai benefici immediati – spiega l’avvocato Olivi -: è necessario valutarne attentamente i rischi, affrontando e gestendo le problematiche che i sistemi intelligenti possono porre prima di tutto a livello di governance e compliance normativa, ma senza dimenticare l’aspetto etico”.
Il sondaggio ha infatti evidenziato la consapevolezza dei molti vantaggi che possono derivare dall’uso dell’AI, come, ad esempio, il risparmio di tempo dovuto all’automazione dei processi e la riduzione degli errori umani nelle attività di elaborazione dei dati.
Al contempo, tale consapevolezza non ha ancora consentito di superare la preoccupazione sul rapporto tra l’AI e il trattamento dei dati personali, la responsabilità per le azioni e le omissioni compiute dai sistemi intelligenti, e più in generale, la normativa applicabile.

Tutela dei dati personali: un’esigenza di primaria importanza

La maggioranza dei partecipanti al sondaggio è infatti preoccupata dall’incertezza sui criteri di attribuzione della responsabilità per le conseguenze che possono derivare dalle decisioni, ed eventuali omissioni, dei sistemi di AI (80%). La tutela dei dati personali è un’esigenza di primaria importanza (81%), ma solo il 55% conferma di aver effettivamente implementato specifiche procedure interne di protezione dei dati. Oltre la metà degli intervistati (57%) dichiara poi di temere le discriminazioni che possono derivare dalle decisioni dei sistemi intelligenti.

Una gestione conforme al contesto normativo

Nonostante la consapevolezza dei rischi connessi all’uso dei sistemi intelligenti, , riferisce Adnkronos, solo il 19% delle società del panel ha già una strategia o segue una specifica roadmap per l’implementazione dell’AI, e sta adottando presidi per assicurarne una gestione conforme al contesto normativo attuale. Molte società infatti stanno attendendo che sia il legislatore ad attivarsi per l’adozione di disposizioni specificamente dedicate all’AI. In particolare, in materia di tutela dei dati personali (61%), protezione dei consumatori (52%), responsabilità penale (46%) e proprietà intellettuale (45%).
“Nell’attesa di interventi specifici dei legislatori – commenta Olivi -, per non perdere le opportunità offerte dall’intelligenza artificiale è necessario adottare da subito un approccio più consapevole, che non guardi solo agli obiettivi di business ma anche alle persone”.

Il 2022 sarà l’anno del Livestream shopping

Nato in Cina come format di intrattenimento per i fan degli streamer, il Livestream Shopping nel 2021 è sbarcato anche in Italia, producendo un impatto dirompente sulle vendite online. E si conferma un trend di successo nel commercio digitale anche per il 2022. Con il Livestream Shopping, infatti, il tasso di conversione può essere cinque volte superiore rispetto alla vendita digitale tradizionale, e la stima per il 2022 è del +669% sulle vendite dei siti e-commerce che hanno sposato questo modello.
Sono sempre più le realtà italiane che implementano nel proprio modello di business il Livestream Shopping, dalle dirette live sui social, come sul marketplace di Facebook, o sul sito e-commerce del negozio. In questo modo infatti l’utente può acquistare direttamente i prodotti mostrati dallo ‘streamer’ nel corso della diretta live.

Il successo di una sessione di vendita in streaming

A ‘mettere sul tavolo’ i numeri del successo di un’attività grazie al Livestream Shopping è la piattaforma B2B di Livestream Shopping Marlene, sviluppata da Flyer Tech. Più in particolare, Marlene ha fatto un bilancio della prima sessione di vendita in diretta online dello store Bath & Body Works di Milano in via Torino. Durante la sessione la store manager di Bath & Body Works e una collega in poco meno di un’ora sono riuscite a mostrare 11 prodotti dello store, rispondendo a tutte le domande poste via chat dai partecipanti.

Lo streamer è il fattore determinante di una live

Oltre alla tecnologia della piattaforma (nel caso di Bath & Body Works la piattaforma B2B Marlene), alla base del Livestream Shopping è lo streamer il fattore determinante del successo di una live, insieme ovviamente all’impostazione di una giusta strategia. E durante la sessione di vendita organizzata per Bath & Body Works sulla diretta ospitata dal brand in soli 55 minuti sono ‘atterrati’ centinaia di utenti in contemporanea, e il Conversion rate durante e nelle ore successive alla live è più che raddoppiato.

Il segreto di una strategia vincente

“Una strategia vincente prende in considerazione vari elementi, dalla creazione di un calendario ben studiato alla scelta dei prodotti da mostrare e delle promozioni da riservare durante le dirette – spiega Marianna Chillau, ceo e co-founder di Marlene e Transactionale, nonché presidente e fondatrice di 4eCom, Associazione di soluzioni digitali nel mondo dell’e-commerce -. Nell’impostazione della strategia non può mancare l’instaurazione delle giuste partnership con gli influencer e gli streamer più in grado di creare e coltivare una community”. 

Credito al consumo, +18,8% nei primi nove mesi 2021

Nonostante i volumi dei flussi di credito al consumo non siano ancora tornati ai livelli pre-pandemia, nei primi nove mesi del 2021 registrano una crescita del +18,8% rispetto al 2020. La 51a edizione dell’Osservatorio sul Credito al Dettaglio, realizzato da Assofin, CRIF e Prometeia, evidenzia infatti come il confronto con i primi nove mesi del 2019 rifletta ancora una contrazione del -9,7%. Un gap che tuttavia si riduce progressivamente nel corso del 2021, nel terzo trimestre in particolare.
I prestiti personali sono il prodotto che più ha risentito degli effetti della crisi, segnando -18.1% sui flussi erogati rispetto al 2019. E secondo l’Osservatorio, se sulla domanda incide ancora la prudenza verso impegni finanziari maggiori, sull’offerta la maggiore attenzione al merito creditizio dei richiedenti. Anche a seguito di normative prudenziali più stringenti.

Mutui immobiliari, +21,3%
Le erogazioni di mutui immobiliari alle famiglie nei primi nove mesi del 2021 registrano una crescita del +21,3%, e il confronto sul periodo corrispondente del 2019 restituisce un incremento ancora più elevato: +36,8%. Trainano la crescita i mutui con finalità d’acquisto (+39,8%), che rappresentano il 79% dei flussi finanziati superando il valore pre-pandemia (75%).
Il trend ha beneficiato dei tassi di riferimento ancora ai minimi storici e degli incentivi governativi.
Il comparto sta inoltre fornendo un contributo alla transizione ‘verde’ dei consumi attraverso l’offerta di mutui green, che incidono per l’8% sul totale mutui acquisto.
Le surroghe invece nel terzo trimestre 2021 accentuano il calo (-45,6%) per via dell’esaurimento dei contratti in essere che potrebbero migliorare le condizioni economiche applicate.

Il rischio di credito è al livello più basso degli ultimi anni
Il rischio di credito si colloca, rispetto al totale dei prestiti alle famiglie, sul livello più basso degli ultimi anni, con il tasso di default 90 past due che a settembre 2021 si posiziona all’1,2%. La contrazione dei trimestri centrali del 2021 coinvolge sia i prestiti finalizzati (0,8% a settembre 2021) sia i prestiti personali (1,9%). Anche per i mutui immobiliari il tasso di default a 90 giorni segue un percorso di riduzione, passando dall’1,2% di marzo 2021 allo 0,7% di settembre. Al mantenimento di un’elevata qualità del credito hanno contribuito, oltre agli strumenti di sostegno del reddito, anche l’atteggiamento responsabile delle famiglie e i tassi di interesse confermati dalla BCE ai minimi storici.

Cauto ottimismo per lo scenario economico 2022-23
Lo scenario macroeconomico considerato dall’Osservatorio rimane cautamente ottimistico, ma un elemento cruciale sarà la capacità delle istituzioni di attuare nei tempi e nei modi concordati con la Commissione europea gli interventi previsti dal PNRR. Dopo il rimbalzo del 2021 i flussi complessivi di credito al consumo nel biennio 2022-23 consolideranno una crescita guidata dai prestiti finalizzati, mentre sarà più lento il recupero dei prestiti personali. Sul fronte delle politiche di offerta, la solvibilità della clientela resterà un elemento decisivo, soprattutto nel 2022, quando il termine delle moratorie e la riduzione degli interventi di sostegno porterà a un peggioramento della rischiosità.

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