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L’export food and beverage Made Italy resiste. Anche grazie a pasta e riso

L’export Made in Italy ha subito un duro colpo dalla seconda ondata della pandemia: le esportazioni complessive del Paese nel mondo sono scese al -12,0% rispetto al 2019. Nonostante i dati negativi il food and beverage però resiste, e anche se nei primi 10 mesi del 2020 si arena su un faticoso +0,1% resta comunque in vantaggio rispetto all’export in generale, grazie anche a prodotti versatili ed economici come la pasta e il riso. Si tratta dei risultati dell’analisi di Federalimentare su dati Istat per l’export alimentare italiano nel mondo.

Gli alimenti della dieta mediterranea aiutano a calmierare il carrello della spesa

Di fatto, gli alimenti della dieta mediterranea più tradizionali ed economici aiutano a calmierare il carrello della spesa, con incrementi sui 10 mesi 2020 pari al +15,6% per la pasta e al +12,0% per il riso, mentre scendono i vini (-8,4% in valore) e le acque minerali (-8,5% in valore). Risultato, spiega Federalimentare, dovuto anche al fatto che il canale Horeca è chiuso in tutto il mondo, anche se superato questo ‘cavo d’onda’ la qualità dell’offerta alimentare nazionale aprirà nuovi e premianti spazi di mercato, come avvenuto negli ultimi anni. Si si guarda alle preferenze mostrate dai mercati esteri nei confronti del nostro food and beverage nel periodo 2015-2019, emerge infatti un progresso del +22,1% dell’export del comparto, a fronte del +14,8% delle esportazioni complessive del Paese. I progressi maggiori risultano appannaggio di acquaviti e liquori (+88.6%) e lattiero-caseario (+38,4%), seguiti da molitorio (+29,9%), dolciario (+29,2%) e caffè (+23,3%), riporta Ansa.

Nel 2019 le Dop italiane raggiungono un fatturato di 16,9 miliardi

Malgrado la concorrenza, le esportazioni agroalimentari italiane hanno mostrato nel periodo una crescita del valore medio unitario di circa 11 punti percentuali. Significa che i consumatori esteri hanno riconosciuto la qualità dei nostri prodotti alimentari e hanno accettato dinamiche espansive di prezzo per acquistarli. Non a caso la Dop Economy ha ricevuto un forte impulso, grazie alle grandi produzioni certificate. Il comparto delle Dop italiane ha raggiunto un fatturato nel 2019 di 16,9 miliardi, pari all’8,4% del fatturato agroalimentare complessivo del Paese (202 miliardi). E sul fronte dell’export, sempre nel 2019, un risultato pari di 9,5 miliardi di euro, il 21,9% dell’intero export agroalimentare italiano (43,4 miliardi).

L’export del 2021 potrebbe chiudere l’anno con 3 punti percentuali in più rispetto al 2019

Quanto alle esportazioni del food and beverage Made in Italy, secondo Federalimentare, a novembre dovrebbero recuperare un po’, portando il bilancio degli ultimi 11 mesi a oltre lo 0,1%. La stima è quindi che l’anno 2020 chiuderà per l’export in sostanziale pareggio. E nel 2021 ci potrebbe essere un sostanziale recupero se, come ci si aspetta, l’Horeca riaprirà e recupererà circa un terzo di quello che è il suo potenziale. In questo caso l’export del 2021 potrebbe non solo tornare ai livelli del 2019, ma fare di meglio e chiudere l’anno con 3 punti percentuali in più rispetto al 2019.

La pandemia dimezza i consumi culturali del 2020

Calano tutte le forme di abbonamento a servizi culturali a pagamento, a eccezione della TV in streaming, e per ogni forma di spettacolo dal vivo la situazione è drammatica. Con il Covid-19 i consumi di beni e servizi culturali si sono dimezzati (-47%), passando da 113 euro di spesa media mensile per famiglia del dicembre 2019 a circa 60 euro a dicembre 2020. I dati emergono dall’Osservatorio di Impresa Cultura Italia-Confcommercio, in collaborazione con Swg, sui consumi culturali degli italiani nel 2020. Consumi che risultano pesantemente penalizzati dalle restrizioni e le chiusure dovute al contenimento della pandemia.

Crollo degli spettatori di circa il 90% per cinema, teatro e concerti

“Situazione drammatica, in particolare – sottolinea l’Osservatorio di Impresa Cultura Italia-Confcommercio – per gli spettacoli dal vivo bloccati dal lockdown e dalle successive misure di contenimento della pandemia: crollo degli spettatori di circa il 90% per cinema, concerti, teatro e forti riduzioni di spesa, con punte di oltre il 70%, da parte dei consumatori tra dicembre 2019 e settembre 2020 – aggiunge l’Osservatorio – tiene la lettura sia dei libri, con una preferenza per il cartaceo sebbene oltre un italiano su tre utilizzi anche il formato digitale, che dei quotidiani, consultati principalmente in versione gratuita online e con un rapporto di circa 1 a 2 tra lettori in digitale a pagamento e lettori in cartaceo”.

La fruizione tradizionale della cultura lascia spazio al digitale

“In calo – secondo l’Osservatorio di Impresa Cultura Italia-Confcommercio – tutte le forme di abbonamento a servizi culturali a pagamento a eccezione della TV in streaming (+17 punti su dicembre 2019) e con un terzo di italiani che pensa di utilizzare prevalentemente piattaforme streaming a pagamento, a testimonianza di un crescente interesse per questo tipo di offerta televisiva rispetto a quella generalista – spiega ancora l’Osservatorio – la forma di fruizione tradizionale della cultura ha lasciato spazio al digitale con la visione di spettacoli dal vivo, opere, balletti e musica classica soprattutto sul web o in TV. Una tendenza che, alla luce delle attuali restrizioni, sembra confermarsi anche per la prima parte del 2021”.

Le restrizioni imposte dalla pandemia, riporta Italpress, e la conseguente spinta sul digitale sembrano quindi avere mutato anche la declinazione del concetto di cultura, con il rischio di renderne più effimeri significati e sfumature.

“È stata fatta una politica di ristori, ma non è sufficiente”

“I dati della nostra indagine sono senza dubbio allarmanti, con una riduzione dei consumi culturali del 47% e una spesa mensile per famiglia che è crollata a 60 euro nel 2020 – puntualizza Carlo Fontana, presidente di Impresa Cultura Italia-Confcommercio –. E sono dati che ci rappresentano tutta la drammaticità della situazione delle attività culturali nel nostro Paese. È stata fatta una politica di ristori, ma non è sufficiente. Oggi è necessaria una strategia con una serie di interventi che consentano una ripartenza delle nostre attività perché la popolazione non può essere ancora per lungo tempo privata di quello che è anche un nutrimento dello spirito”.

L’anno nero del turismo: nel 2020 presenze in calo del 50%

Non si può nemmeno definirla una crisi, è un vero e proprio shock quello subìto dal turismo europeo negli ultimi mesi. A causa della pandemia da Covid-19, infatti, tutte le destinazioni europee hanno registrato un tracollo nel numero di arrivi e presenze. Nei primi 8 mesi del 2020, Eurostat stima che il numero delle notti trascorse nelle strutture ricettive nell’Unione europea (Ue) a 27 sia pari a circa 1,1 miliardi: un calo di oltre il 50% rispetto allo stesso periodo del 2019.

I dati dell’Italia, in linea col trend europeo

“I dati provvisori del nostro Paese, relativi ai primi nove mesi del 2020, sono in linea con il trend europeo (-50,9% rispetto allo stesso periodo del 2019, con quasi 192 milioni di presenze in meno) ed evidenziano l’entità della crisi del turismo interno generata dall’emergenza sanitaria, dopo anni di crescita costante del settore. Il 2019, infatti, aveva fatto registrare un ulteriore record dei flussi turistici negli esercizi ricettivi italiani, con 131,4 milioni di arrivi e 436,7 milioni di presenze e una crescita, rispettivamente, del 2,6% e dell’1,8% in confronto con l’anno precedente” specifica l’Istat. Il 2019, tuttavia, era stato un anno d’oro per il turismo tricolore, con un record dei flussi negli esercizi ricettivi: 131,4 milioni di arrivi e 436,7 milioni di presenze e una crescita, rispettivamente, del 2,6% e dell’1,8% in confronto con l’anno precedente. Il trend così positivo sembrava confermarsi anche all’inizio del 2020, quando a gennaio gli arrivi avevano totalizzato un +5,5% e le presenze un  +3,3% nelle strutture ricettive, ma già a febbraio a causa dell’emergenza sanitaria i numeri avevano virato in negativo.

Ripresa nei mesi estivi

Sono stati gli italiani a salvare, almeno parzialmente, i mesi estivi, quelli in cui le misure restrittive sono state allentate. Nel trimestre luglio-settembre le presenze totali di turisti sono state pari a circa il 64% di quelle registrate l’anno precedente, con una perdita di più di 74,2 milioni di presenze. Però i pernottamenti dei clienti italiani hanno raggiunto circa l’86% di quelli rilevati lo scorso anno, quelli relativi ai clienti stranieri appena il 40%.  Nelle grandi città, cioè nei 12 comuni italiani con più di 250 mila abitanti, infine si è registrata una flessione delle presenze nei primi 9 mesi del 2020 pari al -73,2% e un andamento peggiore rispetto alla media nazionale (-50,9% rispetto allo stesso periodo del 2019). Per i comuni a vocazione culturale, storico, artistica e paesaggistica la diminuzione è del 54,9%, per quelli con vocazione marittima è del 51,8%. E’ andata meglio alle località montane, che hanno frenato il calo a  -29,3%.

Cresce la raccolta differenziata urbana di carta e cartone, +3,2% in due anni

Dopo i rifiuti organici e il vetro la carta e il cartone sono tra i materiali più riciclati. Con circa 233 mila tonnellate provenienti dalla raccolta differenziata urbana, Milano, Monza Brianza e Lodi segnano una crescita pari al +3,2% rispetto ai due anni precedenti. A crescere sono soprattutto Monza Brianza, con +11,7% dal 2017 e Lodi, che cresce del +7,8%. A Milano invece si raccolgono oltre 178 mila tonnellate di carta, il 17% del totale raccolto, di cui 82 mila a Milano città. A Monza Brianza si raccolgono 43.700 tonnellate (15%) e a Lodi 10.702 (14%). La produzione totale delle imprese arriva complessivamente a quasi 327 mila tonnellate, di cui 259 mila a Milano, 47 mila a Monza Brianza e 20 mila a Lodi.

In Italia il tasso di riciclo nel 2019 si attesta all’81%

È quanto emerge da un’elaborazione della Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi su dati MUD (Modello Unico Ambientale) relativi alle dichiarazioni presentate nel 2019. In generale, l’Italia è all’avanguardia in Europa per riciclo di imballaggi cellulosici: il tasso di riciclo nel 2019 si attesta infatti all’81%, una percentuale già superiore all’obiettivo europeo stabilito per il 2025 (75%) e già vicino al target dell’85% fissato per il 2030. Nella raccolta differenziata nazionale di carta e cartone su 3,5 milioni di tonnellate, 1,8 milioni di tonnellate sono raccolte al Nord (+0,6%), e di queste poco meno di 568 mila in Lombardia (dati Rapporto annuale Comieco 2020).

I comuni del territorio milanese più virtuosi per raccolta differenziata di carta

Nella città metropolitana, primi per quantità sono i comuni di Milano, con 82 mila tonnellate (19% del totale dei rifiuti raccolti con la differenziata), Sesto San Giovanni (4 mila tonnellate – 19%), Legnano e Cinisello Balsamo (oltre 3 mila tonnellate – 18% circa). Per incidenza sul totale raccolto invece il primo posto spetta a Cusago, con il 24,8%, San Colombano al Lambro, con il 22,6%, Basiglio e Segrate, con il 22% circa.

La raccolta a Monza Brianza e Lodi

A Monza Brianza prima per quantità è Monza, con quasi 7 mila tonnellate (19%), seguita da Lissone e Seregno, con oltre 2 mila tonnellate (15%).

Per peso su totale dei rifiuti raccolti si distinguono Sulbiate, con il 23%, Carate Brianza, con il 19,9%, Monza e Concorezzo, con il 19%.

In provincia di Lodi primi per quantità i comuni di Lodi, con circa 2.600 tonnellate (17,8%), Codogno, con 1.319 tonnellate (23,9%) e Casalpusterlengo, con 709 tonnellate (13,5%).

Per incidenza sul totale spiccano poi Maccastorna, con il 26,7%, Codogno, con il 23,9% e Senna Lodigiana, con il 22,3%.

Gli italiani si scoprono fan dell’e-commerce: crescita record

Italiani, si cambia. Dopo aver provato i vantaggi dell’e-commerce per necessità, durante la pandemia, anche dopo i nostri connazionali non hanno smesso di adottare questa modalità di acquisto. Il cambio di rotta nel comportamento relativo allo shopping è stato “fotografato” da una recente indagine condotta da Sendcloud, piattaforma che offre soluzioni logistiche all-in-one per l’e-commerce, e Nielsen. Dallo studio emerge che i consumatori italiani effettuano ordini online con una frequenza media mensile pari a 1,9 volte, a fronte di una media di 5,4 prodotti acquistati per singolo ordine, in linea con la media europea. Durante il primo trimestre del 2020, complici anche le necessità derivanti dal lockdown, gli italiani hanno acquistato in media 2,9 prodotti in più rispetto alla precedente rilevazione pre crisi, dato che supera la media europea che si ferma a 2,7. Un incremento importante che dimostra un vero e proprio boom del settore dell’e-commerce che sta trainando l’espansione del commercio digitale.

I tempi di consegna, fattore determinante

In merito ai tempi di consegna, in periodo pre-crisi, gli italiani dichiarano di aspettarsi un periodo di 3,3 giorni per la consegna standard di un prodotto. Soglia che arriva fino a 4,5 giorni prima di essere considerata fuori tempo massimo. Dati che superano la media europea che si ferma rispettivamente a 3,1 e 4,4 giorni, e che dimostrano una maggiore pazienza nei tempi d’attesa da parte degli italiani. Anche nel pieno della crisi, gli italiani confermano una maggiore flessibilità rispetto alla media europea, essendo disposti ad attendere fino 6,3 giorni per ricevere la merce. A differenza delle altre nazioni europee, l’Italia ha anche registrato il ritardo medio più basso nella consegna, pari a 1,8 giorni rispetto ai 2,1 di media europea, nonostante le dure misure restrittive adottate per arginare i contagi.

Costi sì o costi no

Un altro dato interessante che emerge dalla ricerca è che gli italiani ritengono sempre di più le condizioni e i costi di spedizione un fattore decisivo nei loro comportamenti acquisto. In particolare, i costi di spedizione incidono in gran parte sul tasso di conversione degli e-commerce. Anche se il 31% degli italiani è disposto a pagare di più per la consegna del prodotto entro il giorno successivo rispetto l’ordine, un altro dato in controtendenza rispetto alla media europea che raggiunge solo il 29%, il 69% degli italiani dichiara di abbandonare il carrello in caso di costi di spedizione troppo elevati. Il dato evidenzia appunto la maggiore sensibilità da parte dei consumatori italiani nei confronti di questa voce di costo rispetto alla media europea che si attesta intorno al 65%. Inoltre, l’81% degli italiani è disposto ad aggiungere un prodotto in più per raggiungere la somma minima per la spedizione gratuita. La percentuale più alta tra i paesi europei oggetto dell’indagine che raggiungono in media solo il 70% rispetto a questa voce.

Per 3 imprese su 4 occupazione stabile per metà 2020, ma la ripresa è lontana

Nei primi sei mesi del 2020 tre imprese su quattro hanno mantenuto stabile il numero dei propri occupati, e altre 36 mila (2,6%) li hanno aumentati.

Il saldo però è negativo, e tra imprese che hanno ridotto il numero dei dipendenti e quelle che l’hanno aumentato è pari al -18,7%. Circa 290 mila imprese, infatti, il 21,3% delle aziende italiane con dipendenti, hanno dovuto ridurre i livelli occupazionali, mentre. È quanto risulta dall’indagine Excelsior condotta tra il 25 maggio e il 9 giugno 2020 da Unioncamere in accordo con Anpal.

Segnali positivi per chi si è dotato di piani integrati di digitalizzazione

Vanno meglio le imprese esportatrici, che segnano -15,2 punti di differenza tra imprese in flessione e imprese in crescita rispetto al -19,1 delle non esportatrici. Dall’indagine emergono segnali positivi anche per le aziende già dotate di piani integrati di digitalizzazione, che mostrano una maggiore resistenza occupazionale, con un saldo negativo (-17,4) tra chi aumenta e chi diminuisce l’occupazione meno accentuato rispetto alle imprese non ancora digitalizzate (-19,3). Questo, grazie alle innovazioni precedentemente introdotte, riferisce Adnkronos. La prima risposta all’attuale situazione di crisi le imprese la stanno trovando proprio nell’accelerazione dei processi di digitalizzazione.

I nuovi investimenti puntano sugli ambiti strategici nella gestione dell’emergenza

Sono infatti 1.036 mila (circa il 75% dell’universo di riferimento) le imprese che stanno pianificando in questi mesi interventi di digitalizzazione, segnando una crescita di circa 7 punti percentuali rispetto al periodo precedente l’emergenza sanitaria (+91mila imprese). I nuovi investimenti puntano soprattutto sugli ambiti rilevati strategici nella gestione dell’emergenza. Tra questi, soluzioni digitali per una innovativa organizzazione del lavoro e delle relazioni con clienti e fornitori, reti digitali integrate (favorite anche da una maggiore diffusione del cloud), internet ad alta velocità e tecnologie iot, e utilizzo dei big data, digital marketing e più avanzata personalizzazione di prodotti/servizi.

La maggioranza delle imprese stima tempi lunghi per la ripresa

Si prevedono in ogni caso tempi lunghi per la ripresa. Tra le imprese con almeno un dipendente (circa 1,4 milioni), al di là di una quota minoritaria (180 mila) che dichiara di non aver subito perdite in questa crisi, la maggioranza (circa 580 mila), stima che la propria attività potrà tornare ai livelli pre-crisi non prima di giugno 2021. Solo poco meno di 219 mila imprese vedono più vicino, tra luglio e ottobre, il ritorno a una situazione accettabile, e 381 mila traguardano tale obiettivo per fine del 2020.

Attenzione all’adware nei dispositivi mobili

Un’infezione della partizione di sistema comporta un alto livello di rischio per gli utenti dei dispositivi mobili infettati, poiché le soluzioni di sicurezza non possono accedere alle directory di sistema e non possono dunque rimuovere i file dannosi. Secondo i ricercatori di Kaspersky questo tipo di infezione sta diventando uno dei metodi più diffusi per installare adware, un software creato per visualizzare pubblicità invasiva. Secondo quanto emerso dalle ricerche di Kaspersky sugli attacchi rivolti ai dispositivi mobili, il 14.8% degli utenti colpiti da un malware o un adware nel 2019 è stata vittima di un’infezione della partizione di sistema, che ha reso impossibile eliminare i file malevoli.

L’infezione può avvenire in due modi

I ricercatori di Kaspersky evidenziano come anche le applicazioni di default preinstallate rappresentano un problema. A seconda del produttore, il rischio di incorrere in applicazioni che non possono essere disinstallate può oscillare dall’1 al 5% nei dispositivi di fascia bassa, e salire al fino al 27% nei casi più gravi. L’infezione può avvenire in due modi: la minaccia può ottenere i permessi di root su un dispositivo e installare l’adware nella partizione di sistema, oppure il codice che permette di visualizzare gli annunci pubblicitari può essere inserito nel firmware del dispositivo prima ancora che venga utilizzato dall’utente.

Tra le minacce scoperte nelle directory di sistema, Kaspersky ha individuato una serie di programmi dannosi: dai Trojan, che possono installare ed eseguire applicazioni a insaputa dell’utente, fino alla pubblicità, minaccia meno pericolosa ma comunque invasiva.

Alcuni vendor incorporano adware nei propri smartphone

In alcuni casi, i moduli adware erano stati preinstallati prima ancora che l’utente entrasse in possesso del dispositivo. In questo caso, le conseguenze possono essere indesiderate e impreviste. Ad esempio, molti smartphone dispongono di funzioni che consentono l’accesso remoto al dispositivo. In caso di abuso, questa funzione potrebbe causare la compromissione dei dati del dispositivo dell’utente. Alcuni vendor hanno dichiarato di incorporare adware nei propri smartphone. Mentre alcuni di loro permettono di disabilitarli, altri non concedono questa opzione, motivando la scelta come parte di un modello di business che abbatte i costi del dispositivo per l’utente finale. L’utente è spesso costretto a scegliere se comprare il dispositivo a prezzo pieno oppure acquistarlo a un prezzo inferiore visualizzando pubblicità per tutto il tempo del suo utilizzo.

Gli utenti non sospettano di acquistare un cartello pubblicitario tascabile

“L’analisi di Kaspersky ha dimostrato che gli utenti dei dispositivi mobili non solo sono regolarmente esposti ad attacchi di adware e altre minacce, ma che il loro dispositivo può essere compromesso anche prima dell’acquisto – spiega Igor Golovin, Kaspersky security researcher -. Gli utenti non sospettano di acquistare un ‘cartello pubblicitario tascabile’. Diversi fornitori di dispositivi mobili massimizzano i profitti integrando nel device strumenti di advertising, nonostante questi rappresentino un fastidio per gli utenti. Questa non è una pratica corretta – continua Golovin – sia per quanto riguarda la sicurezza sia l’usabilità”.

TikTok “organizza” tour virtuali nei musei del mondo

Un viaggio virtuale nei musei più importanti del mondo, che durante i mesi di lockdown hanno dovuto trovare un modo per continuare a mostrare le proprie opere nonostante le porte chiuse al pubblico. E TikTok, la piattaforma di video brevi, ha aperto una finestra sui capolavori dell’arte mondiale. Con un programma di dirette lungo una settimana, dal Museo del Prado di Madrid al Rijksmuseum di Amsterdam fino alle Gallerie degli Uffizi di Firenze, il Naturkundemuseum di Berlino e il Grand Palais di Parigi, TikTok ha aperto le porte delle loro sale offrendo un tour guidato con i creator più amati della piattaforma.

Le Gallerie degli Uffizi in diretta streaming

Il programma delle live su TikTok con il co-host dei creator è stato inaugurato martedì 9 giugno dal Naturkundemuseum, con l’Appuntamento con i dinosauri, in compagnia di Niko. L’11 giugno, TikTok ha portato gli utenti alla mostra POMPEII, tra le stanze del Grand Palais di Parigi, e venerdì 12 giugno, alle 19,30, le Gallerie degli Uffizi di Firenze sono state il primo museo italiano a realizzare su TikTok una diretta streaming con l’aiuto della creator Martina Socrate. “Una visita speciale, con una ospite molto speciale, che siamo felici di accogliere nelle sale della Galleria delle Statue e delle Pitture”, ha commentato il direttore degli Uffizi, Eike Schmidt.

Un modo nuovo di far conoscere l’arte alle generazioni più giovani

Il 16 giugno è stata la volta del Museo del Prado di Madrid, riporta Askanews, mentre il 18 giugno, alle ore 17, è stato il Rijksmuseum di Amsterdam (@rijksmuseum) a fare un tour guidato dedicato al pittore Rembrandt e ai segreti del museo nazionale olandese con James Lewis. L’interesse suscitato da alcune iniziative messe in campo proprio nelle settimane di lockdown ha aperto la strada a un modo nuovo di comunicare e far conoscere l’arte alle generazioni più giovani, come Gen Z e Millennials. Oltretutto, la settimana dei musei è avvenuta in un momento cruciale, ovvero la riapertura dei luoghi della cultura dopo la chiusura imposta nei mesi passati dal Covid-19.

L’hashtag challenge #MuseoACasa

Le dirette TikTok con la partecipazione dei creator più popolari della piattaforma verranno affiancate da ulteriori iniziative, come l’hashtag challenge #MuseoACasa (“Se casa tua fosse un museo, come descriveresti i tuoi capolavori? Indossa i panni del critico d’arte e guidaci per un tour nel tuo #museoacasa”).

La sfida è corredata anche da un filtro interattivo realizzato per l’occasione. Ma c’è di più, TikTok mette infatti a disposizione degli utenti italiani anche la playlist dedicata MuseoACasa.

Al tempo del Covid-19 la sicurezza vale anche al volante

I rischi legati alla pandemia non sono cessati, e la guardia va mantenuta alta anche durante la Fase 2. Non solo in ufficio, nei supermercati o all’aperto, ma anche mentre si è alla guida di un’auto. Dopo aver guidato o essere stati dentro un autoveicolo è bene infatti lavarsi sempre le mani, e non toccarsi occhi, naso e bocca. Se si viaggia insieme ad altri, ricordarsi di indossare mascherine, e possibilmente, tenere aperto il finestrino. Inoltre, pulire sempre volante, freno a mano e la leva del cambio con preparati a base di alcol. E fare attenzione ai filtri dell’aria condizionata Questi sono alcuni dei consigli dell’Istituto superiore della sanità (Iss) rivolti a chi, a seguito della riapertura delle attività produttive prevista nella Fase 2, userà nuovamente la propria auto, o vetture in car-sharing.

Indossare le mascherine e tenere la distanza anche in auto

L’utilizzo delle mascherine, ricordano gli esperti, “non è necessario se si viaggia da soli”, ma lo diventa se si è insieme a persone che non convivono nella stessa abitazione. Se si viaggia con persone che non convivono nella stessa abitazione all’interno dell’auto bisogna viaggiare mantenendo la distanza di sicurezza, ovvero, in automobile si può viaggiare al massimo in due, e il passeggero deve sedersi sul sedile posteriore. Inoltre, se possibile, tenere aperto il finestrino.

Sanificazione e aria condizionata

L’Iss consiglia poi di pulire le superfici interne dell’auto con un panno in microfibra e preparati a base di alcol. L’uso di candeggina e Amuchina non è consigliato, perché l’ipoclorito di sodio presente potrebbe avere un’azione aggressiva su pelle e plastica. Inoltre, per un’igiene corretta dell’abitacolo, usare l’aspirapolvere sulla tappezzeria, oppure se si sceglie di lavarla, farlo con gli appositi prodotti detergenti, prestando particolare attenzione ai tappetini dell’auto, che se usurati, possono essere sostituiti.

Controllare periodicamente i filtri dell’aria condizionata. Per una pulizia in profondità, togliere anche il filtro dell’aria, e sanificare le bocchette e i tubi che mettono in circolo l’aria stessa.

Viaggiare in car sharing

Quando si utilizza un’auto in car sharing sarebbe bene munirsi di un panno a microfibra e un preparato a base di alcol per pulire tutte le superfici che possono essere state toccate da altre persone, dal volante alla leva del cambio, dal freno a mano alle bocchette dell’aria, e poi cinture di sicurezza, indicatori di direzione, interruttori per tergicristalli e luci, specchietto retrovisore interno, e la leva per regolare lo specchietto retrovisore esterno. E ancora, chiavi e maniglie.

Per guidare si possono utilizzare i guanti, avendo però cura di non toccarsi gli occhi, il naso e la bocca, di sfilarli al rovescio e di smaltirli nell’indifferenziata, evitando di abbandonarli in giro.

Pandemia e sfide green, cosa dovrebbe cambiare

La pandemia sta sconvolgendo modi di vivere e modelli produttivi, ma apre anche una riflessione su come ripensare le abitazioni e le città per vincere le sfide delle green city. Il dossier Pandemia e sfide green del nostro tempo, elaborato dal Green City Network e dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile, in partnership con Ecomondo – Key Energy, affronta i temi legati ai consumi e al vivere green nello scenario dell’emergenza sanitaria.

“Potremmo vivere questo incredibile periodo di forzata sperimentazione collettiva come occasione da cogliere per decidere di produrre nuove forme e nuovi spazi dell’abitare – afferma Fabrizio Tucci, Professore ordinario della Sapienza Università di Roma e Coordinatore del Green City Network – più inclusivi per le fasce più deboli, e più in linea con gli obiettivi propri di quello che definiamo green city approach”.

Ripensare il rapporto tra uomo e cibo

L’emergenza sanitaria deve spingerci a ripensare il rapporto tra uomo e cibo, a partire proprio dalle città, che nel 2050 ospiteranno il 70% della popolazione mondiale. Ma le vicende di questi giorni, si legge nel dossier, hanno messo in evidenza come sistemi colturali troppo aggressivi possano determinare, anche indirettamente, conseguenze negative sugli equilibri ambientali e sul benessere della popolazione. Consumando ci limitiamo a vedere solo i prodotti finiti che utilizziamo e gli oggetti che usiamo, ma difficilmente riflettiamo sul fatto che questi prodotti/oggetti sono fatti con materiali prelevati in grandi quantità in diverse parti del mondo. Occorre quindi fare il possibile per evitare un crollo della raccolta differenziata e del riciclo dei rifiuti. E l’economia circolare, riporta Adnkrono,s è una scelta necessaria per il futuro dell’economia.

Nel breve periodo crollano le emissioni di Co2

Il crollo dei consumi energetici nelle attività produttive e nel trasporto sta generando una riduzione delle emissioni di Co2 nel breve periodo. Prevedibilmente, però, non durerà, e non dovrebbe portare a sottovalutare l’impegno necessario e di lungo termine per contrastare il riscaldamento globale. I consumi medi di una abitazione italiana normalizzati rispetto alle condizioni climatiche medie europee sono alti, pari a 1,91 tep/anno, contro i 1,66 tep/anno della Germania, i 1,58 tep/anno della Danimarca, o i 1,28 tep/anno della Svezia. Solo il Belgio (1,95 tep/anno) e il Lussemburgo (2,36 tep/anno) fanno peggio dell’Italia. In questo quadro la decarbonizzazione del settore civile resta una priorità.

Abitare le città con il green building approach

Le città sono prive di traffico da quando il coronavirus ha costretto tutti a restare a casa. Per evitare che a crisi finita si ritorni al traffico congestionato e inquinante si deve aprire una riflessione sul modello di mobilità urbana e su come cambiarlo. I cambiamenti riguardano però anche l’abitare. Lo smart working ha fatto sì che l’abitazione sia concepita non più solo come dormitorio, ma anche luogo di lavoro, studio e cultura, svago e socialità. La pandemia ha anche insegnato l’importanza di balconi, terrazzi, cortili e giardini, anche condominiali. Spazi intermedi che possono svolgere ruoli importanti, anche dal punto di vista ambientale, con il green building approach.

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