L’internazionalizzazione è uno dei temi caldi dell’industria italiana. E le è ancora di più quando si parla delle imprese agroalimentari, comparto al centro del dibattito pubblico ed economico per molti anni. I vari governi italiani hanno spesso fissato obiettivi di crescita delle esportazioni, accompagnati da strumenti e sostegni per conquistare quote di mercato in tutto il mondo.
Un’operazione mirata a colpire la vendita di prodotti contraffatti, noti come “italian sounding”, che fanno concorrenza slealmente al vero e tipico Made in Italy.

Esportazioni aumentate dell’85%  in dieci anni

Negli anni, le esportazioni agroalimentari dall’Italia sono cresciute significativamente. Nel 2022, le vendite all’estero hanno raggiunto i 58,8 miliardi di euro, rispetto ai 31,9 miliardi di dieci anni prima, con un aumento del 85%, superiore a quello dell’export manifatturiero generale (+59%).

Tuttavia, c’è una propensione all’export relativamente bassa nel settore agroalimentare, misurata come percentuale del fatturato totale. Mentre il settore manifatturiero ha una media del 48%, nel food&beverage questa percentuale si colloca sotto il 30%. Questo è dovuto in parte alla frammentazione delle imprese, con l’86% delle aziende con meno di 10 dipendenti, responsabili solo del 10% del fatturato totale.

Un divario da colmare

Questo divario strutturale ha impedito all’Italia di sfruttare appieno il suo potenziale di crescita nelle esportazioni. Al contrario, paesi concorrenti come la Germania, con imprese più strutturate, hanno una maggiore propensione all’export, nonostante una minore notorietà del cibo tedesco rispetto a quello italiano. Un motivo chiave di questa sfida è il declino demografico italiano.
Molti piccoli e medi produttori alimentari sono orientati solo al mercato nazionale. Tuttavia, entro il 2050, la popolazione italiana dovrebbe diminuire di 5 milioni di persone, con un invecchiamento demografico progressivo. Questo avrà un impatto significativo sui consumi alimentari, con una popolazione più anziana che consuma meno e preferisce cibi diversi.

Questi mutamenti sono già evidenti, ad esempio nel settore del vino, dove i consumi sono diminuiti negli ultimi vent’anni. Le abitudini di consumo sono cambiate, e i prodotti alimentari devono adattarsi a questa nuova realtà.

Una scelta obbligata

Pertanto, l’internazionalizzazione è diventata una scelta obbligata per garantire la continuità delle imprese alimentari italiane e dell’intera filiera agroalimentare.
Gli operatori del settore devono adottare un’approccio più strategico, utilizzando strumenti di intelligence di mercato e soluzioni di internazionalizzazione per sviluppare progetti di business sostenibili e redditizi, con una visione a medio-lungo termine.

In sintesi, l’Italia ha un enorme potenziale di crescita nelle esportazioni agroalimentari, ma deve affrontare sfide strutturali e demografiche per sfruttarlo appieno. L’internazionalizzazione è diventata una necessità per garantire il futuro successo del settore.