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Investimenti esteri in Italia: aumentati dell’83% nel 2021

Il 2021 è stato un anno d’oro per gli investimenti esteri in Italia, che hanno registrato una sensibile crescita: addirittura dell’83%, con 207 progetti di investimenti diretti esteri (Ide) . A dirlo è l’EY Europe Attractiveness Survey 2022, ricerca annuale che analizza l’andamento degli investimenti diretti esteri in Europa e le percezioni dei player internazionali con l’obiettivo di indagare il livello di attrattività di ciascun Paese e individuare i principali driver d’investimento futuri. Tuttavia, nonostante queste ottime performance, con una quota di mercato del 3,5% – in aumento rispetto al 2% del 2020 –  il nostro paese si posiziona ancora a distanza dai principali attrattori di Ide in Europa, ovvero Francia (21%), Regno Unito (17%) e Germania (14%). 

I comparti che “attirano” di più

Ad attrarre la maggior parte degli investimenti esteri in Italia nel 2021 sono stati il settore software e servizi IT (con il 15% degli Ide totali dell’anno), i trasporti e la logistica (14%) e i servizi B2B (12%). In crescita rispetto al 2020 soprattutto gli investimenti nel comparto agroalimentare e beni di consumo (+214% di numero di Ide) e macchinari e attrezzature (+233%). In calo l’attrattività del settore elettronica (-25% del numero di Ide rispetto al 2020) e telecomunicazioni (-57% del numero di Ide rispetto al 2020). Si conferma anche nel 2021 il trend dell’anno precedente che vede gli investimenti in Italia arrivare principalmente dagli Stati Uniti (28% del totale annuo), seguiti dalla Germania (17%), la cui relazione con il nostro Paese si rafforza superando la Francia (12%) e il Regno Unito (7%), anch’essi storici partner commerciali dell’Italia. Si registra invece una flessione del 50% rispetto al 2020 degli investimenti provenienti dalla Cina. Per quanto riguarda la distribuzione delle risorse sul territorio nazionale, si conferma una sostanziale disomogeneità, con una quota prevalente nel Nord-Ovest del Paese (54%) e nel Nord-Est (21%), che nel 2021 supera il Centro Italia, passato dal 24% dei progetti nel 2020 al 15% nell’ultimo anno. Positiva la crescita degli investimenti destinati al Meridione (dal 4% al 10%), nonostante rimanga ancora un consistente divario rispetto al resto del Paese.

Le criticità italiane

Seppur registrando una crescita significativa degli investimenti internazionali, l’Italia continua a presentare criticità rilevanti che ne limitano l’attrattività. Il principale ostacolo, rilevato dal 69% degli intervistati, è l’incertezza regolatoria (+11% rispetto al 2020), seguita per il 65% del campione da un eccessivo rischio di contenzioso per le imprese (+23% rispetto al 2020) e da un eccessivo carico burocratico per il business, avvertito dal 56% degli stessi (in linea con quanto registrato nel 2020). Tra i desiderata segnalati dai manager che investono in Italia emerge la priorità del taglio del cuneo fiscale (70%); a seguire la riduzione del costo del lavoro (32%), incentivi all’innovazione (22%), aiuti ai settori in difficoltà (21%) e sostegno alle PMI (20%).

Estate 2022: più del 75% degli italiani sceglie il Bel Paese

Tra mare, montagna, città d’arte, borghi storici, park per appassionati di sport e ottimo cibo, il nostro Paese è in grado di rispondere alle esigenze di ogni tipo di turista. Lo confermano le preferenze degli italiani per l’estate 2022. Quest’anno infatti il 75,7% di chi ha già prenotato le vacanze non si allontanerà dall’Italia, così come il 66,8% di chi non ha ancora prenotato, che sembra avere intenzione di rimanere all’interno dei confini nazionali. Cresce però la percentuale di italiani che chiederà un prestito per le vacanze: dal 5,5% che lo ha fatto negli ultimi 3 anni al 16% che lo farà quest’anno.
È quanto emerge dall’ultima survey svolta da Younited, fintech del credito istantaneo in Europa, su un campione di oltre 4.300 partecipanti.

Più vacanze italiane, molto meno all’estero

Dopo l’Italia le più sognate sono le mete europee, scelte dal 17,3% di chi ha già prenotato e dal 20,9% di chi non l’ha ancora fatto, mentre le nazioni extra-europee sono state scelte dal 7% di chi ha già prenotato e dal 12,3% di chi non ha ancora effettuato una prenotazione. La vacanza tanto sognata per un anno rappresenta però una spesa importante per il bilancio di molti italiani, e per questo richiede un’attenta pianificazione del budget. Più di un quarto degli intervistati (34,3%) prevede una spesa di oltre 1.000 euro, in crescita rispetto al 27,2% dell’anno scorso, e un ulteriore 23,7% fra i 750 e i 1.000, in leggero calo rispetto al 25,8% del 2021.

Il 16,4% afferma di prevedere una spesa inferiore

Sono solo il 10% coloro che affermano che spenderanno meno di 250 euro e 15,3% quelli che ne spenderanno fra 250 e 500, mentre il 16,7% dichiara di prevedere una spesa fra 500 e 700 euro. Rispetto al 2021, le percentuali di chi dichiara che spenderà all’incirca quanto l’anno scorso e di chi invece spenderà di più, sono più o meno equivalenti: 43,6% nel primo caso e 40,1% nel secondo. Solo il 16,4% afferma di prevedere una spesa inferiore.

Cresce la percentuale di chi chiederà un prestito

I pochi risparmi sono la motivazione della scelta di richiedere un prestito per più della metà (63,4%) di coloro che ricorreranno a questa soluzione nel 2022, mentre il 17,6% sostiene di voler fare una vacanza più lunga, e l’8,9% di aver scelto mete più costose. Per il 5,3% la scelta è dettata da un ampliamento del nucleo familiare e per il 4,9% da una diminuzione del salario. La possibilità di dilazionare il pagamento, che permette di non rinunciare a un momento di spensieratezza distribuendo l’impatto economico su diversi mesi, è il vantaggio più apprezzato dagli intervistati (47,5%), seguito dall’opportunità di soddisfare le esigenze della famiglia (37,5%).

Le preoccupazioni di Millennial e GenZ: clima, carovita e lavoro 

Secondo la Millennial e GenZ Survey 2022 di Deloitte, cambiamento climatico, costo della vita e lavoro sono le tre principali preoccupazioni dei Millennial e della GenZ italiani.
“Il dato, in continuità rispetto all’edizione precedente, fa emergere una sensibilità che istituzioni e imprese italiane devono recepire e trasformare in proposte di sostenibilità concrete e credibili. Un altro dato molto interessante – afferma il ceo di Deloitte Italia, Fabio Pompei -, è la preoccupazione crescente dei giovani sul carovita: una tendenza inevitabilmente legata alla ondata inflazionistica che stiamo vivendo a causa della pandemia e della guerra in corso in Ucraina. I giovani sono i primi a risentire dell’aumento dei prezzi e, non a caso, anche quest’anno la paura di rimanere disoccupati è tra le tre prime preoccupazioni”.

Cambiamento climatico: la sfida numero uno

Insomma, i giovani del nostro Paese si confermano particolarmente sensibili al tema del cambiamento climatico. Per il 42% dei GenZ e il 37% dei Millennial il cambiamento climatico è la sfida numero uno da affrontare, e l’80% dei GenZ e il 76% dei Millennial pensano che siamo vicini al ‘punto di non ritorno’ nella risposta al cambiamento climatico. Non solo: il 72% della GenZ e il 77% dei Millennial afferma di aver sperimentato di persona almeno un evento meteorologico grave negli ultimi 12 mesi. Ma per ridurre il proprio impatto ambientale il 95% dei Millennial e il 96% della GenZ affermano di ‘fare uno sforzo per proteggere l’ambiente’.

Sempre più preoccupati dal costo della vita

Le ragazze e i ragazzi sono sempre più preoccupati dal costo della vita: solo il 25% della GenZ e il 21% dei Millennial afferma di poter pagare senza problemi le proprie spese, e quasi la metà vive con i soldi contati di mese in mese. Queste dinamiche incidono sulla capacità di risparmio dei giovani, sempre meno ottimisti sulla probabilità di arrivare alla pensione con tranquillità. A livello globale, solo il 41% della GenZ e dei Millennial è convinto che riuscirà ad andare in pensione e a essere tranquillo finanziariamente. In Italia i numeri sono anche più critici: solo il 28% della GenZ e il 30% dei Millennial è ottimista sulle proprie prospettive previdenziali.

Lavoro: work life balance e opportunità di crescita i fattori premianti

Dopo due anni di sperimentazione di lavoro da remoto, GenZ e Millennial hanno le idee chiare su cosa si aspettano dal mondo del lavoro. I fattori che contano di più per Millennial e GenZ sono il work life balance e le opportunità di apprendimento e crescita. Il work life balance è il primo fattore di scelta soprattutto per i Millennial (36%) che cercano un nuovo impiego. Significativi anche i numeri sul lavoro da remoto, riporta Adnkronos. Quasi la metà della GenZ e dei Millennial italiani lavora quasi sempre in ufficio, ma la maggior parte (67% GenZ e 63% Millennial) preferirebbe un modello di lavoro ibrido, in cui si garantisca maggiore flessibilità.

Competenze digitali, gli italiani hanno ancora da imparare

Come si posizionano gli italiani, a livello europeo, in merito alle loro competenze digitali? I nostri connazionali hanno qualche difficoltà anche a livello base, e per questo si collocano al di sotto della media registrata dagli altri cittadini del Vecchio Continente. A decretare questo risultato una ricerca del Centro studi ImpresaLavoro realizzata su elaborazione di dati Istat, Eurostat e Unioncamere sistema informativo. Nel 2021 in Europa gli individui che possiedono competenze digitali superiori al livello base sono in media il 26%. Sopra la media europea si collocano l’Olanda (52%), la Finlandia (48%), l’Islanda (45%), la Norvegia (43%), l’Irlanda e la Svizzera (40%). Al contrario, i Paesi con il numero minore sono l’Albania (4%), Bosnia ed Erzegovina (5%), Macedonia del Nord e Bulgaria (8%), Montenegro e Romania (9%). L’Italia si trova ancora sotto la media europea registrando il 23% di individui con competenze digitali superiori al livello base.

Quadro italiano: competenze digitali elevate nel Nord
Le competenze digitali sono la chiave della futura trasformazione tecnologica della maggior parte delle aziende. Sempre più imprese richiedono ai propri dipendenti, oltre alle skills di base, di possedere competenze digitali elevate. Com’è, a tal proposito, la situazione italiana corrente? A livello regionale, si evince che la percentuale degli individui che possiedono un livello elevato di competenze digitali si raggruppa nel Nord Italia, principalmente in Valle d’Aosta (28,3%), Lombardia (26,6%), Friuli-Venezia Giulia (25,8%), Trentino-Alto Adige (25,7%) ed Emilia-Romagna (25%). Al contrario, si nota un minor numero di individui che detengono competenze digitali elevate in Sicilia (14,4%), Campania (16,6%), Calabria (16,7%), Basilicata (17,8%) e Puglia (18%). Le fasce d’età risultano essere un fattore importante: con l’aumento degli anni, infatti, il livello di competenze digitali diminuisce. I giovani tra i 20-24 anni possiedono un livello di competenze avanzato (41,5%) insieme ai ragazzi tra i 16-19 anni (36,2%). Il livello scende fra gli adulti tra i 45-54 anni (20,3%) e tra i 65-74 anni (4,4%).

Competenze digitali richieste dalle imprese per ripartizione territoriale
L’innovazione digitale comporta la necessità di nuove figure professionali qualificate dotate del giusto background di competenze tecnologiche di base e specialistiche. Quali sono le competenze digitali richieste dalle imprese italiane? Dove si concentra maggiormente questa richiesta? Nel 2021 si evince che la richiesta da parte delle imprese di competenze digitali e linguaggi e metodi matematici è maggiore al Nord Ovest rispetto al resto del Paese. In Italia sono particolarmente richieste le competenze digitali elevate al Nord Ovest (23,4%), al Centro (21,8%), al Sud e nelle Isole (20%) ed al Nord Est (18,4%). Al secondo posto delle competenze richieste si trovano le capacità di utilizzo dei linguaggi e metodi matematici, sempre con prevalenza al Nord Ovest (17,3%), al Sud e Isole (16,3%), al Nord Est (14,6%), e al Centro (15,5%). Al terzo posto, con una richiesta inferiore, le capacità di gestione delle soluzioni innovative che, a differenza delle prime due, vengono predilette maggiormente al Sud e nelle Isole (13,1%), il Nord Ovest (10,9%), il Centro (10,3%), infine il Nord Est (8,8%).

Casa: ad aprile crescita “lenta” per i prezzi dell’usato: +0,3% 

Rispetto al mese di marzo, ad aprile 2022 l’importo medio pagato per una casa in Italia è aumentato in media dello 0,3%.  Secondo l’ufficio studi del portale immobiliare idealista, nel mese di aprile 2022 il prezzo medio delle abitazioni di seconda mano è salito a 1.692 euro al metro quadro. Tuttavia, la variazione annuale è ancora negativa, e rispetto ad aprile 2021 si attesta a -1,7%. Tra le regioni italiane, 14 su 20 hanno fatto registrare aumenti dei prezzi, con i rialzi più significativi concentrati in Valle d’Aosta (3,9%) e nel Friuli-Venezia Giulia (1,2%). Gli altri incrementi, ma sotto la soglia dell’1%, vanno dallo 0,9% della Sardegna allo 0,2% dell’Umbria, mentre per Piemonte e Abruzzo i prezzi restano invariati. Quanto ai cali, sono riferibili soprattutto al Molise, dove i prezzi sono scesi del -1,7%, seguito dalla Basilicata (-1,3%), la Toscana (-0,9%) e la Sicilia (-0,2%).

Valle d’Aosta la regione più cara d’Italia, Sicilia la più economica

Sul fronte dei prezzi, la Valle d’Aosta, con 2.660 euro al metro quadro, è la regione più cara d’Italia, seguita dal Trentino-Alto Adige (2.542 euro/metro quadro) e la Liguria (2.411 euro/metro quadro).
Prezzi superiori alla media italiana di 1.692 euro al metro quadro anche per la Toscana (2.255 euro/metro quadro), il Lazio (1.963 euro/metro quadro) e la Lombardia (1.746 euro/metro quadro).
Tra le 14 regioni con valori medi inferiori ai valori nazionali, le più economiche sono la Sicilia (999 euro/metro quadro), il Molise (882 euro/metro quadro), e la Calabria, con 851 euro.

A Napoli in un anno prezzi maggiori del +1,9%, a Roma -0,9%  

E nelle città italiane i prezzi delle case sono aumentati o diminuiti? A quanto riporta l’analisi di idealista, le variazioni dei prezzi nelle principali città italiane vedono Napoli, con un +1,9% rispetto a marzo 2022, Firenze (+0,7%), Torino (+0,3%), Milano e Bologna (entrambe +0,2%) i cinque capoluoghi che chiudono il mese di aprile sotto il segno positivo. All’opposto, Roma e Palermo, entrambe a -0,9%, e Genova, con un -0,6%, nell’ultimo mese segnano una flessione.

Venezia, Bolzano e Milano al top dei metri quadri più salati

Riguardo ai prezzi di vendita nelle città, Venezia, con 4.394 euro al metro quadro registrati ad aprile, Bolzano (4.077 euro/metro quadro) e Milano (3.983 euro/metro quadro) sono le più care.
Roma, con i suoi 2.819 euro al metro quadro, è settima nel ranking dei prezzi dei capoluoghi delle città italiane, e Napoli (2.137 euro/metro quadro) sedicesima. Le ultime della graduatori, riferisce Askanews, sono Vibo Valentia (844 euro/metro quadro), Reggio Calabria (842 euro/metro quadro) e Biella (700 euro/metro quadro).

Caffè: mercato e nuovi consumi della bevanda che non conosce crisi

Secondo i dati elaborati dal marketing strategico di HostMilano e tratti dal sistema informativo Export Planning, nel 2021 il commercio mondiale di prodotti della filiera caffè ha segnato un record: +13,6% nei valori in euro per le macchine da caffè espresso, +13,1% per il caffè decaffeinato o torrefatto e +8,8% per il caffè in grani non torrefatto. Il valore degli scambi mondiali dei tre settori ha raggiunto 34,5 miliardi di euro, e nel triennio 2022-2025 si attende un tasso annuo di crescita del +5,6%, fino a sfiorare i 43 miliardi di euro. Quanto ai mercati mondiali, Stati Uniti (22,4%) e Germania (14,2%) nel 2021rappresentano le principali destinazioni in termini di vendite, precedendo Italia (6,4%), Giappone (5,1%), Belgio (4,2%) e Svizzera (3,8%). I principali esportatori? Al primo posto il Brasile, con una quota del 27,6%, davanti a Colombia (13,9%), Vietnam (9,9%), Honduras (5,4%), Guatemala (3,6%), Etiopia e Belgio (entrambi 3,5%).

Le principali destinazioni: Stati Uniti, Germania, Italia

Quanto alla graduatoria dei mercati mondiali, gli Stati Uniti (22,4%) e la Germania (14,2%) rappresentano le principali destinazioni in termini di vendite nel 2021, precedendo Italia (6,4%), Giappone (5,1%), Belgio (4,2%) e Svizzera (3,8%). Le importazioni italiane di prodotti della filiera hanno toccato nel 2021 un valore di 1.450 milioni di euro, +6% rispetto al 2020: il punto di massimo assoluto nell’esperienza storica dei prodotti della filiera. La componente più rilevante in termini di valori di importazioni italiane riguarda il caffè in grani, che rappresenta oltre il 77% dell’import italiano complessivo della filiera.

Entro il 2025 export italiano a +5,5%

Non solo nell’immaginario collettivo ma anche con i numeri alla mano il Bel Paese dimostra di essere all’altezza delle aspettative. Le esportazioni italiane di prodotti della filiera caffè hanno toccato nel 2021 un nuovo massimo, 2,6 miliardi di euro (+14%). In particolare, crescite rilevanti per l’export italiano di caffè decaffeinato o torrefatto (+14,1%) e di macchine da caffè espresso (+14,3%).
Entro il 2025 si attende una crescita delle esportazioni italiane di prodotti della filiera del +5,5%, per un valore complessivo dell’export di quasi 3,3 miliardi di euro. 

Gen Z, cresce la voglia di caffeina 

Probabilmente è iniziato tutto con il Dalgona coffee, una ricetta nata in Corea durante la pandemia che consiste in una schiuma montata e densa di caffè istantaneo e zucchero posizionata sopra al latte. Da lì il caffè ha conquistato TikTok, il social dei Gen Z. Sono seguiti il Proffee (unione di caffè e bevanda proteica), e tutta una schiera di drink a base di caffè. L’ultimo sondaggio National Coffee Drinking Trends della NCA (National Coffee Association statunitense) evidenzia come il 46% dei giovani americani tra i 18 e i 24 anni beve caffè regolarmente, mettendo in luce la crescente popolarità del caffè freddo, ghiacciato e congelato, specie in questa fascia di consumatori. E da un sondaggio dell’Università di Foggia del 2020 emerge che il 76% dei giovani ha l’abitudine di bere bevande alla caffeina ogni giorno: nove su dieci la assumono attraverso il caffè.

Anche fare colazione al bar costa di più cara: caffè +18%

Dal caffè al cappuccino, dal cornetto alla spremuta d’arancia, i prezzi nei primi mesi del 2022 sono aumentati a due cifre. E da Nord a Sud, il re della colazione, il caffè, segna aumenti tra il 17% e il 18%. Anche cappuccino e cornetto non sono da meno: il primo aumenta dal 15% al 18% a seconda delle zone geografiche, e il cornetto dal 17% al 19%. Il rincaro record spetta però all’acqua in bottiglia da mezzo litro, che al Sud e nelle Isole aumenta del 45% rispetto al 2021, allineandosi ai prezzi praticati nel resto d’Italia. Insomma, gli aumenti dei prezzi hanno intaccato anche uno degli appuntamenti di rito degli italiani, la colazione al bar. È quanto rileva l’Osservatorio Nazionale Federconsumatori in una ricerca realizzata per l’Adnkronos.

Cappuccino e cornetto a 2,84 euro

In pratica, per una colazione composta da un cappuccino e un cornetto il costo medio è passato da 2,43 euro del 2021 a 2,84 euro del 2022, con un aggravio che in un anno ammonta a circa +106,30 euro a persona. Chi invece non può rinunciare a una pausa all’insegna di un buon caffè al giorno subirà rincari di +64,07 euro annui. Il tutto consumato rigorosamente al banco. Per chi decide di accomodarsi al tavolo i rincari sono ancora più evidenti. Cappuccino e cornetto, serviti al tavolo, possono infatti costare dal 22% al 48% in più rispetto al prezzo praticato al banco.
Si tratta di aumenti elevati che inducono Federconsumatori a chiedere all’Antitrust di accendere un faro per scongiurare ipotesi di cartello e intollerabili fenomeni speculativi.

Ferrara, Padova, Modena e Ravenna al top della classifica del caro caffè

Insomma, il caffè espresso, candidato dall’Italia a patrimonio Unesco, prosegue nella sua corsa al rialzo dei prezzi, un fenomeno che appare evidente già a dicembre 2021 dal Rapporto annuale di Fipe, dove l’associazione dei pubblici esercizi ha rilevato i prezzi della tazzina al bar in base ai valori medi rilevati nei capoluoghi di provincia (Osservatorio prezzi su dati Istat). In una ipotetica classifica risulta al primo posto Ferrara, con il prezzo di un caffè più alto, 1 euro e 18 centesimi, seguita da Padova (1,16 euro) e da Modena e Ravenna (1,15 euro).

A Napoli, Trieste, Reggio Emilia la tazzina costa meno di 1 euro

Tra le grandi città l’espresso a Roma è arrivato a una media di 1,10 euro e a Milano 1,05 euro, mentre a Napoli, a Trieste e a Reggio Emilia la tazzina si colloca a 0,90 centesimi, a Bari 0,91 e Terni 0,89 centesimi. L’espresso meno caro è invece a Messina: 0,82 centesimi. Analogo trend per il cappuccino, dove il più caro si beve ad Avellino, con il prezzo medio di 1,85 euro, seguita da Bolzano (1,76 euro) e Siracusa (1,61 euro).
Stupisce che il prezzo più basso si paghi a Roma, con 1,13 euro, ma prezzi bassi anche a Grosseto (1,22 euro) e Catanzaro (1,23 euro).

Misure anti-Covid: i benefici per l’aria e la salute

Lockdown e restrizioni alla circolazione hanno portato a un drastico calo dell’inquinamento atmosferico nelle città, con conseguenti benefici anche per la salute. Insomma, alcune misure anti-Covid adottate all’inizio della pandemia si sono dimostrate utili anche per combattere l’inquinamento atmosferico. È quanto evidenziato uno studio internazionale sull’andamento della qualità dell’aria in 47 città europee, tra cui Roma, Milano, Parigi, Londra e Barcellona, pubblicato sulla rivista Nature e realizzato da numerose istituzioni di ricerca, tra cui l’Enea, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile.

L’inquinante che ha subito la riduzione maggiore è il biossido di azoto

In particolare, dall’indagine emerge che il forte calo dei livelli di inquinamento atmosferico nel periodo monitorato, ovvero da febbraio a luglio 2020, è dovuto principalmente alla limitazione degli spostamenti quotidiani in città e all’obbligo di permanenza nelle abitazioni. Un minore impatto hanno avuto invece le restrizioni alla circolazione tra le regioni e i viaggi internazionali. L’inquinante che ha subito la riduzione maggiore è il biossido di azoto (NO2), più che dimezzato in sette città italiane ed europee: Milano, Torino, Roma, Madrid, Lisbona, Lione e Parigi.

Concentrazioni di NO2 precipitate fin dalla prima metà di marzo 2020

“Il calo è dovuto soprattutto al divieto della circolazione e del trasporto su strada, che rappresenta la principale fonte di emissioni di questo inquinante – spiega Mario Adani, ricercatore Enea del Laboratorio Inquinamento Atmosferico e coautore dello studio -. Le concentrazioni di biossido di azoto hanno iniziato a precipitare fin dalla prima metà di marzo 2020, quando i governi hanno imposto le prime restrizioni. Le differenze tra le città possono essere correlate solo ai diversi tempi di attuazione delle politiche di blocco e alle variazioni nella severità delle misure”.

Più decessi evitati per la riduzione dell’inquinamento

Lo studio ha quantificato anche il numero di morti premature evitate a seguito della riduzione dell’inquinamento per effetto delle misure adottate dai governi Ue contro la pandemia, riferisce Italpress. Da febbraio a luglio 2020 il numero totale di decessi evitati è stato pari a 486 per il biossido di azoto (NO2), 37 per l’ozono (O3), 175 per il PM2.5 e 134 per il PM10. In particolare Milano, Parigi, Londra e Barcellona sono state tra le prime città con il maggior numero di decessi evitati da biossido di azoto (NO2) e polveri sottili. Per l’Italia, lo studio ha quantificato le morti evitate a Milano, Napoli, Roma e Torino, per ciascuno degli inquinanti analizzati. Ad esempio, a Roma sono stati evitati 18 decessi da NO2, 6 da O3, 7 da PM10 e 5 da PM2.5.

Lo spreco di cibo torna a salire: +15% 

Nelle case degli italiani torna a crescere lo spreco di cibo, interrompendo un trend positivo partito nel 2019. Di fatto, nella spazzatura gettiamo in media 595,3 grammi di cibo pro capite a settimana, ovvero 30,956 kg annui, circa il 15% in più del 2021, quando erano 529 grammi settimanali. Il dato è accentuato al Sud (+18% rispetto alla media nazionale) e per le famiglie senza figli (+12%).
Si tratta di dati in controtendenza con l’ultimo biennio, come attesta il Rapporto ‘Il caso Italia’ 2022 di Waste Watcher International su monitoraggio Ipsos, diffuso in occasione della IX Giornata nazionale di Prevenzione dello spreco alimentare, per iniziativa della campagna Spreco Zero di Last Minute Market e dell’Università di Bologna.

Uno sperpero annuale di 1.866.000 tonnellate

Lo spreco del cibo nelle nostre case vale complessivamente 7,37 miliardi di euro, corrispondente allo sperpero annuale di 1.866.000 tonnellate di cibo. Se includiamo anche lo spreco alimentare di filiera (5.164.928 tonnellate), arriviamo a uno spreco nazionale di quasi 10 miliardi e mezzo.
“La tendenza a una diminuzione dello spreco alimentare domestico, che a livello nazionale e globale gioca la parte del leone, con un’incidenza del 60-70% sulla filiera campo-tavola, ha interrotto sensibilmente il suo slancio positivo con il ritorno alla vita sociale – spiega l’agroeconomista Andrea Segrè, fondatore della campagna Spreco Zero e della Giornata nazionale di Prevenzione dello spreco alimentare -. Una battuta di arresto che si spiega in parte per la ripresa del consumo extra-domestico – aggiunge Segrè – e in parte per la difficoltà generale delle condizioni di vita dell’ultimo anno”.

La hit dei più buttati

L’indagine spiega che nella hit degli alimenti più spesso sprecati svettano la frutta fresca (27%), cipolle aglio e tuberi (17%), pane fresco (16%), verdure (16%) e insalata (15%).
“L’Italia – continua Segrè – resta comunque la nazione più virtuosa nel ‘G8 dello spreco’, che vede i russi a quota 672 grammi settimanali, gli spagnoli a 836 grammi, i cittadini inglesi a 949, i tedeschi a 1081, i canadesi a 1144, i cinesi a 1153 e in fondo i cittadini statunitensi, che ‘auto-denunciano’ lo spreco di 1453 grammi di cibo settimanali. Tuttavia, guardando anche alla tipologia dei prodotti che sprechiamo, è evidente che dobbiamo fare ancora molta strada per ridurre lo spreco e migliorare la nostra dieta alimentare”.

Gli effetti negativi dello spreco

Quali sono gli effetti negativi dello spreco secondo i consumatori italiani? Al top, lo spreco di denaro, vissuto come aspetto più grave da oltre 8 italiani su 10 (83%). C’è poi l’effetto diseducativo sui giovani (83%), l’immoralità intrinseca dello spreco alimentare (80%) e delle risorse (78%), e l’inquinamento ambientale (76%).
“La via maestra resta dunque quella di una svolta culturale che sostenga l’adozione e la replica delle buone pratiche nel nostro quotidiano, dall’acquisto del cibo alla sua gestione e fruizione – sottolinea Segrè -. Per questo rilanciamo la proposta di mettere al centro dei programmi di educazione civica, nelle scuole, i temi dell’educazione alimentare e ambientale”.

Credito al consumo, +18,8% nei primi nove mesi 2021

Nonostante i volumi dei flussi di credito al consumo non siano ancora tornati ai livelli pre-pandemia, nei primi nove mesi del 2021 registrano una crescita del +18,8% rispetto al 2020. La 51a edizione dell’Osservatorio sul Credito al Dettaglio, realizzato da Assofin, CRIF e Prometeia, evidenzia infatti come il confronto con i primi nove mesi del 2019 rifletta ancora una contrazione del -9,7%. Un gap che tuttavia si riduce progressivamente nel corso del 2021, nel terzo trimestre in particolare.
I prestiti personali sono il prodotto che più ha risentito degli effetti della crisi, segnando -18.1% sui flussi erogati rispetto al 2019. E secondo l’Osservatorio, se sulla domanda incide ancora la prudenza verso impegni finanziari maggiori, sull’offerta la maggiore attenzione al merito creditizio dei richiedenti. Anche a seguito di normative prudenziali più stringenti.

Mutui immobiliari, +21,3%
Le erogazioni di mutui immobiliari alle famiglie nei primi nove mesi del 2021 registrano una crescita del +21,3%, e il confronto sul periodo corrispondente del 2019 restituisce un incremento ancora più elevato: +36,8%. Trainano la crescita i mutui con finalità d’acquisto (+39,8%), che rappresentano il 79% dei flussi finanziati superando il valore pre-pandemia (75%).
Il trend ha beneficiato dei tassi di riferimento ancora ai minimi storici e degli incentivi governativi.
Il comparto sta inoltre fornendo un contributo alla transizione ‘verde’ dei consumi attraverso l’offerta di mutui green, che incidono per l’8% sul totale mutui acquisto.
Le surroghe invece nel terzo trimestre 2021 accentuano il calo (-45,6%) per via dell’esaurimento dei contratti in essere che potrebbero migliorare le condizioni economiche applicate.

Il rischio di credito è al livello più basso degli ultimi anni
Il rischio di credito si colloca, rispetto al totale dei prestiti alle famiglie, sul livello più basso degli ultimi anni, con il tasso di default 90 past due che a settembre 2021 si posiziona all’1,2%. La contrazione dei trimestri centrali del 2021 coinvolge sia i prestiti finalizzati (0,8% a settembre 2021) sia i prestiti personali (1,9%). Anche per i mutui immobiliari il tasso di default a 90 giorni segue un percorso di riduzione, passando dall’1,2% di marzo 2021 allo 0,7% di settembre. Al mantenimento di un’elevata qualità del credito hanno contribuito, oltre agli strumenti di sostegno del reddito, anche l’atteggiamento responsabile delle famiglie e i tassi di interesse confermati dalla BCE ai minimi storici.

Cauto ottimismo per lo scenario economico 2022-23
Lo scenario macroeconomico considerato dall’Osservatorio rimane cautamente ottimistico, ma un elemento cruciale sarà la capacità delle istituzioni di attuare nei tempi e nei modi concordati con la Commissione europea gli interventi previsti dal PNRR. Dopo il rimbalzo del 2021 i flussi complessivi di credito al consumo nel biennio 2022-23 consolideranno una crescita guidata dai prestiti finalizzati, mentre sarà più lento il recupero dei prestiti personali. Sul fronte delle politiche di offerta, la solvibilità della clientela resterà un elemento decisivo, soprattutto nel 2022, quando il termine delle moratorie e la riduzione degli interventi di sostegno porterà a un peggioramento della rischiosità.

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